L’ovo di Napoli.
La pioggia crepita furiosa sul selciato della piazza e sui
tetti del villaggio, lampi e tuoni si succedono ininterrotti illuminando a
sprazzi le finestre dell’arena che si stanno richiudendo.
Alle prime gocce ho staccato il cavo della corrente, dopo
qualche secondo, a gruppi, si vedono
arrivare correndo i ballerini ed i suonatori coi loro strumenti. Alcuni dei
ballerini li aiutano, due portano il tronco del nerone. Mona li fa entrare
nella sala del bar, certi siedono ai tavoli, altri si buttano a terra dove
capita ansimanti. Ballerine e ballerini, tutti seminudi coi resti degli abiti
che penzolano a brandelli, hanno fatto gruppi separati, le prime sussultando
per il fiatone hanno l’aria imbarazzata e gli occhi ancora sbarrati dalla furia,
gli altri le guardano sorpresi come se le vedessero per la prima volta.
“Siete stati stupendi!” esclamo, “una recita perfetta, nessuno avrebbe saputo
fare meglio!”
Uno ribatte: “Tu sei pazzo! Guarda come siamo ridotti!”
Un ballerino: “Una cosa così non c’era mai capitata, quelle
si son messe a mordere, ci hai fatto impazzire tutti!”
Un altro: “Guappo e Caterina non ci sono, anche Sofia, che
fine hanno fatto?”
Rispondo: “Non preoccupatevi di loro, ormai la storia si è messa
in moto e tutto si sta svolgendo in modo naturale. Ora dobbiamo prepararci per
il prossimo balletto.”
Un ballerino ribatte: “Non ci sarà nessun balletto, tu ci
vuoi vedere morti, parli bene, ma poi…”
“Quante storie! Vi siete abituati a quei ricchioni
sdolcinati in tv ed a quei balletti dove sembra che tutti prendano a calci un
pallone, l’arte è passione, furore dei sensi, estasi!...l’artista è sempre un
guerriero in sfida all’impossibile! Quello che è successo stasera ricalca le
figure del mito, alla fine di ogni orgia le menadi sbranavano gli uomini, queste
cose stanno scritte nel sangue e le abbiamo tirate fuori, non dimenticate che
in passato ogni spettacolo finiva coi leoni che sbranavano i cristiani e qui
c’è un nesso ma di questo parleremo domani quando vi darò le figure da
interpretare.”
In quel momento la porta si apre e con un rimbombo di tuono
entra Guappo bagnato fradicio con il vestito a brandelli e su una tempia un
livido nerastro. Mentre guarda gli altri sbigottito una gli chiede: “Dov’è Caterina,
che è successo?”
Guappo risponde: “E che ne so? M’ha colpito e poi e scappata
con Sofia, li ho seguiti fino al cimitero e lì sono spariti, li ho cercati
dappertutto.”
Uno dice: “Sarà tornata a Sorrento…anche queste sono impazzite,
siam pieni di morsi e sto pazzo vuol fare un nuovo balletto.”
“Ci deve essere altro, lo sento!” esclama Guappo con aria
assorta, poi mi guarda e chiede: “È quello che volevi?”
Rispondo: “Se hai capito perché me lo chiedi?”
“Forse hai ragione, bisogna salire di un ottava, per me
Caterina è… c’erano cose che non capivo ma ora… è solo un intuizione… forse non
ci sono altri sistemi, sembra un coltello che affonda nel cuore ma non ho
paura.”
Un suonatore al tavolo dice: “Dai, c’era Sofia con lei, che
vuoi che le sia successo?”
Guappo: “Sai che roba! Sofia si spaventa appena vede un
topolino.”
Un altro: “Che facciamo allora? Continuiamo a seguire sto
pazzo o torniamo a Napoli?”
Guappo mi guarda e dice: “Tu lo devi sapere dov’è finita
Caterina.”
“Sarà il tema del prossimo balletto.”
Guappo accenna un sorriso e dopo aver guardato gli altri
continua: “Son tutto pesto ma non mi sono mai divertito così tanto, se mi
arrendessi mi sentirei un vile, continuiamo sta farsa ma…c’è un problema, molti
di noi se non tornano a casa non mangiano, volevamo fare una festa ed è venuto
fuori quello che tutti avevamo dentro ma non sapevamo come fare ad esprimere ed
ora…”
In quel momento bussano alla porta. Mona va ad aprire, fuori
ci sono due minatori neri sotto l’ombrello, il temporale è diminuito d’intensità
ma scroscia ancora furioso. Mona esce e dopo qualche secondo rientra stringendo
tra le mani un sacchetto nero di fuliggine gonfio di sassi. Dice: “Gli abitanti
del paese han gradito lo spettacolo e vorrebbero vedere il seguito, se la cosa
non vi offende son disposti a pagare le spese per il vostro soggiorno, il mio
albergo è a vostra disposizione e per quanto riguarda il ristorante chiamerò
subito qualcuno che mi venga ad aiutare.”
Guappo mi guarda e ribatte: “Pensi proprio a tutto…va bene, allora
continuiamo la sfida.”
Il resto della compagnia, con gli occhi assorti nel sogno, assente
silenzioso. Un ballerino sul fondo grida: “Però a quelle mettiamo la
museruola!” facendo ridere tutti.
Il feto
Per comodità ed esigenze di copione ho traslocato nella
camera della Mona. Sono circa le due di notte, fuori dalle finestre si sente la
pioggia scrosciare, fulmini e tuoni si stanno allontanando, il vento scivola
sui muri dell’albergo solleticando le persiane chiuse che ridacchiano tra le
fessure. C’è un po’ di stanchezza ma son solo parole, come dire?...perchè è
probabile che dopo una giornata così ci si senta stanchi.
La camera è ampia arredata con civettuola eleganza, tende
bianche ricamate di fiori e farfalle alle finestre, qualche quadro, un grande
armadio con le ante a specchi di fronte al sontuoso letto matrimoniale, altre
cose ma non ha importanza perché togliamo tutto lasciando solo i muri avvolti
dalla penombra, una fioca luce esce da un abat jour su un comodino al lato del
letto.
Le lenzuola profumano di bucato e naturalmente di Mona, un
nido avvolto di piume invisibili colorate di sogni, si può facilmente
immaginare di che tipo. Lei mi sta abbracciando, i suoi seni dai capezzoli
gonfi premono sul mio petto palpitando sui respiri, è calda e morbida, sotto la
pelle cova il fuoco, il vulcano latente del desiderio.
“Parole…” sussurra lei,
“una bella insaponata, ora potresti leccarmi tutta e poi…”
“Altre parole, che vuoi che sia?”
Lei, accarezzandomi una coscia, ogni volta sfiorandomi le
palle risponde: “Di solito si comincia così, come lo spettacolo di questa
notte, potremmo ripeterlo fino a…”
“Forse lo faremo un giorno coi fatti, a parole sarebbe
scontato, l’autore che scrive e noi due, lui si immagina ma come può sapere
come sei veramente?”
“Va be’, dicevo… il prossimo spettacolo sarà così
esplosivo?”
“Non so ancora, per il momento nell’uovo c’è solo
un’ideuzza, un embrione che cresce, riguarda proprio un uovo, o meglio, un
ovulo.”
Lei dopo avermi morsicchiato una spalla, con una punta di
stizza nella voce, continua: “Vuoi andare a cercare Caterina, è così
importante?”
“È quello che mi piacerebbe sapere, di Mone e di Caterine ce
n’è in ogni angolo del mondo ed in qualche modo sono tutte collegate, si può
vedere l’effetto in una e la causa essere in un’altra, sembra un ginepraio che
avvolge come una ragnatela l’intero pianeta.”
“Come sarebbe?”
“Te l’ho già detto, le parti dell’universale. L’universale è
uno, in questo caso un nome e tutte le parti lo rispecchiano, il nome in questo
caso non è una forma fisica, è un modello di comportamento ed il resto è
conseguenza.”
“Filosofia…” ribatte facendo una smorfia con la bocca, “Tu quando stai a letto con una parli di
filosofia?”
“È vero, non sarebbe probabile, in questo caso faremo
un’eccezione ma con riserve, l’autore non fa letteratura anche se sembra, lui
sviluppa delle figure, qualcosa del genere delle figure della smorfia
napoletana che poi vanno interpretate, in questo caso potremmo fare delle
figure erotiche, un’ improvvisazione che riguardi la cova delle uova.”
“Di quale uova stai parlando?” chiede lei solleticandomi le
palle.
“Perché fai domande, improvvisa…”
“Mmm…fare la cova…va be’, ci provo.”
Scende lentamente facendomi scivolare la lingua sulla pelle
tra le carezze dei suoi capelli d’oro ed inizia a sbocconcellarmelo facendolo
venire duro come il manico di una mannaia, dopo averlo ben bene frollato con
lingua, denti e voluttuose passate di labbra si alza, si mette a cavalcioni
sopra il cazzo e se lo infila nella mona scendendo ancheggiando con voluttuosi
gridolini di goduria. Arrivata al fondo, ad occhi socchiusi, mi accarezza le
palle con una mano e chiede: “Adesso sto covando, lo senti il caldo?”
“È probabile che nei fatti lo sentirei, la cosa è accertata
dall’esperienza, ma queste sono solo parole. La figura dello spegni moccolo, la
prima cosa che si vede è che ci sono parole che eccitano e poi che la forma
dell’esterno è l’interno.”
“Questa non l’ho capita.”
“Il canone si interpreta con la filosofia, per non fare come
quei ricchioni in tv cercherò di essere semplice. La logica universale che
rispecchia tutte le altre è il nome non è forma, in questo caso il cazzo non è
la figa quindi la forma del cazzo è la figa e si può dire anche il contrario.
Mona, ruotando voluttuosamente i fianchi a macina caffè
dice: “Può essere, infatti me lo sento tutto dentro però la figa è figa, che
c’entra col cazzo?”
“Nella logica il cazzo è solo un nome, una parola mentre la
figa è una forma fisica. Viceversa, se a essere
nome è la figa, la forma ce l’ha il cazzo. Questo avviene solo durante
l’accoppiamento, poi ognuno torna per sé.”
Mona, continuando a macinare caffè, mormora tra sospiri
goduti: “Cazzo, figa…funzionerebbe meglio senza parole…e allora?”
“Quello che si vede, cazzo e figa sono considerate parole
sporche e trasmettono il significato alla forma.”
“Ai cornuti vorrai dire…” dice lei allusiva.
“Proprio così e questa potrebbe essere una causa.
Limitiamoci alla figura.”
Mona, inondandomi le balle con un abbondante getto di
sbrodolamento, continua: “Te la do io la figura, una maiala che si rotola nel
liquame, è eccitante da morire.”
“Non dirlo a me che a far porcate non mi batte nessuno,
però…sporcheresti così il tuo bell’abito di madonna vergine?”
Preme il ventre sul cazzo spingendolo a farle toccare le
ovaie e con voce rotta dall’orgasmo risponde: “Questo sarebbe il massimo… però
ho capito, che penserebbe il cornuto? Allora…potrebbe essere un comportamento
prevedibile se…”
“Ci sono diversi se da analizzare compreso quel che
penserebbe la cornuta riguardo il casto Gesù ma sarebbero conseguenze, effetti,
restiamo nella causa. Questa cosa avviene all’esterno, l’esterno non è
l’interno, la forma dell’esterno è l’interno. Cosa c’è all’interno della tua
figa?”
Mona rimane qualche secondo silenziosa e risponde: “Che ne
so?...tutte quelle schifezze, ci sono le ovaie e poi…l’ovulo, prima hai detto
che era l’idea.”
“Infatti, potrebbe essere un macrocosmo che prende effetto
da un microcosmo ed in questo caso avverrebbero le stesse cose ad un livello
puramente chimico, adesso si vede un ovulo sporco, nero come un uovo di
cioccolato, chissà che sorpresa c’è dentro comunque una cosa solo nominale
perché lo sporco è trasmesso da un nome, o meglio una convenzione, caricato
sullo spermatozoo che esce dal cazzo. La figura si evolve, l’ovulo fecondato
diventa feto trasmettendo il significato di sporco, un feto nero con un cazzo
nome ed una figa forma che gli trasmettono il sudiciume chiusi dentro una
placenta, un altro uovo. La figura dello spegni moccolo chiuso in questa
stanza.”
“M’hai fatto passare la voglia.”
“Eppure è quello che si vede, due maiali che si rotolano nel
liquame, sembra una schifezza invece lo trovo molto romantico, qualcosa di
simile all’autore che scrive, lui è uno e noi siamo due, puramente immaginati.”
“Vuoi dire che siamo chiusi in un feto ma chi immagina è un
altro?”
“Quello che si vede, cosa può immaginare un feto?”
“Brrr…in mezzo a quelle schifezze e poi, come fa a
immaginare se non sa quel che c’è fuori?”
“Questo si può accertare perché fuori dalla placenta ci sono
gli anticorpi della madre e sono tutti affamati…la placenta lo protegge, il
feto può vedere solo quella e sulle pareti della placenta scorre il sangue.”
Le pareti della stanza iniziano ad arrossarsi, i muri si
liquefano, si vede formarsi tutta una ragnatela di sangue, suoni di gorgoglii,
singhiozzi, richiami lontani, ricordi obliati di un universo privo di parola.
“Che ne dici di andare a vedere quel che sogna il feto?”
Mona mi guarda crucciata e risponde: “Prima incanti e
poi…m’hai fatto venire i brividi.”
“Son solo parole, come al cinema, pura immaginazione.”
“Come facciamo?”
“Semplice, adesso siamo una macchina volante, il cazzo che
hai nella figa farà da cloche, quando vuoi girare a destra sposti il ventre a
destra ed a sinistra fai lo stesso, per andare avanti ti spingi in avanti ed
indietro indietro, per salire stantuffi e più stantuffi più sale e per scendere
schiacci.”
“E per frenare?” chiede lei provando subito in tutte le
direzioni.
I sogni si dimenticano al risveglio. Al mattino, di buon
ora, si sente suonare il campanello dell’albergo.
Mona apre gli occhi, abbiamo dormito qualche ora
abbracciati, ore che sembrano anni, vede che sono già sveglio e dice: “Devono
essere gli aiutanti.”
Si alza, indossa una vestaglia di seta dorata ed apre la
porta finestra che dà sul balcone inondando la stanza di luce. Le otto del
mattino, il cielo è sereno, si sentono dal porticciolo le strida dei gabbiani e
la risacca del mare, il profumo dell’acqua che evapora dal selciato della
piazza, oltre i tetti sopra la collina sta sorgendo il sole.
Dice: “Un minuto che arrivo.” Poi fa un lungo respiro
stirando le braccia e guardando il cielo esclama: “Che bella cosa na jurnata di
sole!”
“Odo gli augelli far festa…” dico ridendo alzandomi dal
letto.
Mona entra in bagno, piscia, si dà una rassettata poi scende
al bar. Dopo un po’ la raggiungo. Nella sala c’è una grassona anziana che sta
scopando il pavimento e due ragazze bellocce che sistemano i tavoli, una bionda
e l’altra bruna, sui sedici anni, i seni che gonfiano le camicette, l’aspetto di contadinelle da poesia bucolica,
mi guardano di sottecchi salutando in dialetto.
Sopra le scale si sentono gli schiamazzi della compagnia nei
corridoi in attesa che si liberino i bagni, saltellando sui gradini scendono
Guappo con due ballerine, i vestiti rattoppati alla meglio e subito dopo Macaco
con la Bastarda. Mona ancora in vestaglia, la seta aderente alle sue forme
piccanti, sta preparando il caffè alla macchina. Dopo i saluti ci avviciniamo
al bancone. Guappo ha lo sguardo ombroso ed è taciturno mentre Macaco dice:
“Che nottata, questa quando la racconterò non ci crederà nessuno, mi sono
proprio divertito. Ho telefonato al mio albergo ed ho detto agli altri di non
aspettarmi, sono intenzionato ad annullarmi, forse è questo che intende lo zen
quando traccia la strada.”
Beviamo il caffè, in quel momento la porta si apre ed entra
il nerone, gli occhi sbarrati, gli abiti ancora bagnati della pioggia della
notte, i capelli spettinati pieni di pagliuzze. Guappo gli corre incontro e gli
chiede: “Dov’è Caterina?”
Il nerone lo guarda spaventato, gli occhi gli si
inumidiscono ed inizia a piagnucolare biascicando parole incomprensibili con
toni maschili da sopranista. Se maschio o femmina ancora non si capisce. Mi
avvicino, metto una mano sulla spalla di Guappo e gli dico: “Stai calmo.” Poi
rivolto al nerone continuo: “Nessuno ti accusa, cerca di toglierti quell’aria
da povero negro, qui non siamo in America, abbiamo iniziato una storia quindi
siamo attori che recitano, la tua parte era quella e l’hai interpretata
benissimo, cosa è successo veramente?”
Il nerone mi guarda, reprime i singhiozzi, si asciuga le
lacrime con una mano impiastricciandosi il bel viso con il trucco e
pronunciando le labbra risponde, sempre in tono sopranista: “Mi ha presa a
schiaffoni, non volevo andare poi…” Guarda Guappo e continua: “Ti abbiamo visto
che ci cercavi, eravamo nascosti, è lei che…” Torna a guardare me: “Pioveva a
dirotto, siamo entrati nella chiesa, lei non parlava, aveva qualcosa che…faceva
paura, era pallida, sembrava un fantasma, la sua voce era un’altra, si è
inginocchiata davanti al crocefisso e si è messa a pregare poi è svenuta e non
ha più ripreso i sensi, ho fatto di tutto ma…l’ho adagiata su una panca, poi
devo essermi addormentata, stamattina era ancora così, come morta… non sapevo
che fare, volevo scappare ma qualcosa mi ha trattenuta, adesso è là, nella
chiesa, sembra che dorma, non l’ho mai vista così bella.”
Guappo mi guarda e con voce fredda dice: “Attori che
recitano, non è facile…eppure questa storia mi sembra di averla già vissuta e
non è stato in questa vita. Sembra il preludio alla Bella Addormentata, tu lo
sapevi già e questo mi incuriosisce proprio.”
Dalle scale scendono altri, vedendo il nerone tutti gridano:
“Dov’è Caterina, che è successo?”
Guappo alza una mano e ribatte: “Statevi calmi, Caterina è
alla pieve, dopo andiamo a vedere.”
Mentre risaliamo a gruppetti il sentiero che porta al
cimitero il sole si è alzato sulle colline, i suoi raggi si riflettono sulle
goccioline d’acqua nei prati e tra le foglie e i fiori degli alberi facendoli
luccicare di gemme preziose, qua è la si vedono vapori alzarsi dal terreno
danzare piroettando tra sbuffi incantati.
Macaco e la Bastarda camminano ai miei fianchi, lei ha
l’aria assorta, lui dice: “Sembra tutto perfetto, c’è solo una cosa che stona,
questa storia dello zio, è imbarazzante, come dire, un impaccio.”
“Anche per me.” Aggiunge la Bastarda.
“Se la cosa può farvi piacere non impaccia solo voi,
comunque è solo una parola. L’autore per aumentare lo spazio di calcolo delle
probabilità ha confrontato i miti di qui con quelli giapponesi, quindi per
disegnare le vostre figure nel contesto si è adattato a quelli. Nel mito quando
Izanami muore entra nel regno di Yomi, questo è quello che si vede in Persefone
rapita da Ade e Ade era lo zio di Persefone, che era una giovinetta. La figura
si adatta anche ad Amaterasu quando si rinchiude nella grotta togliendo il
sorriso al mondo ed al mito di Orfeo ed Euridice, sembrano tante storie ma la
trama, la figura che viene fuori, è sempre la stessa.”
“Va bene.” continua Macaco,
“Un salto di ottava, sono solo parole, di riflesso potrebbero
interessare anche Michico, la sua figura, il regno dei morti e l’imperatore che
nella figura è Nerone.”
“Sei proprio intelligente.” Gli dice la Bastarda,
sfiorandomi la mano con la sua mentre cammina.
Continuo: “Quella di Nerone è una figura ambigua, il suo
colore è solo nominale e qui si vede un grosso nero che non si capisce se è
maschio o femmina, inoltre Ade in altre versioni del mito era chiamato l’Etiope
quindi ancora un nero ed in altre Persefone è contrapposta ad Adone che invece
era un ragazzo bellissimo.”
Macaco, continuando il ragionamento, dice: “Però abbiamo visto
che il nero rappresenta il sole, quindi il cibo e che è tutta una logica di
cannibali che si nutrono di sangue, la legge di natura.”
“Ci sono altre probabilità, in un film americano si vede un
bianco figlio di un piantatore schiavista che dopo aver fatto l’aguzzino scopre
di essere figlio di una negra e questa è quella che più incuriosisce l’autore.
Comunque sono figure che si evolvono, potrebbe essere un’inversione solo
nominale.”
“Un altro bastardo…” dice la Bastarda.
Continuando a parlare
di questo e di quello arriviamo alla pieve.
Sul piazzale ci sono tre suore in nero piccole e corpose con
le maniche della tonaca tirate su che stanno ramazzando il sagrato, sul portale
che è stato spalancato completamente un gruppetto della compagnia sta guardando
all’interno dove Caterina è coricata su un lettino priva di sensi. Due suore
suppergiù della taglia delle altre le stanno rimboccando le coperte, un’altra,
questa magra dal viso rugoso che pare essere la loro superiora sta parlando a
Guappo con tono burbero: “Se l’avessimo vista subito l’avremmo mandata via con
la macchina che ci ha portate qui, aveva tutti i vestiti strappati, che le
avete fatto? Abbiamo provato a farla rinvenire ma niente da fare, sembra in
catalessi, l’avete drogata?”
Guappo risponde: “Facevamo una festa ed è scappata, sa
com’è?...certe volte ci si scatena e poi…ha subito violenze?”
La suora risponde: “Abbiamo controllato, ha delle ecchimosi
ma per il resto è intatta, abbiamo guardato anche se aveva segni di iniezioni,
con voi ci si può aspettare di tutto, siete…”
Entro nella chiesa. La suora mi vede e si interrompe
bruscamente. Con voce stridula, come se le avesse appena preso un colpo,
chiede: “Lei che ci fa qui?”
Ribatto, sorpreso dal tono: “Per caso ci conosciamo?”
La suora, parlando di foga, risponde: “Non si ricorda di me?
Quella notte all’ospedale di Mongreno, mi aveva regalato una poesia, avevo
passato la notte a sognare e poi al
mattino, quando è arrivata l’altra, una pugnalata al cuore!”
“Sembra proprio un vizio il tuo.” mormora Macaco alle mie
spalle.
Le due suore stupite guardano la loro superiora a bocca
aperta, lei si riprende e torna a parlare a Guappo: “Comunque qui non può
stare, bisogna portarla in ospedale e denunciare la cosa alla polizia.”
Guappo imbarazzato mi guarda e chiede: “Tu cosa dici?”
Nel mentre anche le suore che erano fuori sono entrate
disponendosi con le altre intorno al letto di Caterina. La figura si sta
completando.
Rispondo rivolto alla superiora: “Quanta fretta. Stavamo
facendo una recita, Caterina si deve essere immedesimata troppo nella sua parte
e poi è scappata qui, è venuta a cercare rifugio in chiesa, lei la vorrebbe
cacciare? Che direbbe Gesù?”
La suora avvampa e ribatte: “Che centra Gesù? Questo è il
nostro dovere, qui non la possiamo curare.”
“Se fosse veramente malata sarei il primo a dire che
andrebbe portata in ospedale ma in questo caso si deve trattare di un male solo
psicologico e potrebbe riprendersi da un momento all’altro. Poi pensi alle
conseguenze, i giornali potrebbero dire che nelle chiese di Napoli si fanno le
orge, da Roma potrebbero mandare degli ispettori, ci sarebbero noie a non
finire, perché guastare la pace se si può fare a meno?”
La suora rimugina qualche secondo le parole e dice: “Guardi
com’è pallida, come fa a dire che non sta male?”
“Sarebbe troppo lungo da spiegare. La recita era
improvvisata, ad un certo punto Caterina è scappata ed è venuta a cercare
rifugio in chiesa. Doveva essere già malata anche se all’esterno non si vedeva,
un male inguaribile, qualcosa che solo un miracolo poteva curare quindi è
venuta qui come l’ultima speranza ed ora finge di essere morta in attesa della
guarigione, cioè che Cristo compia il miracolo.”
La suora cambia espressione agli occhi, mi guarda
interessata e ribatte: “È venuta in chiesa come ultima speranza…un male solo
psicologico, allora…è nostro dovere curare le anime ma…se invece morisse, pensi
le conseguenze.”
“Perché dovrebbe morire, lei da quanti anni fa la suora?”
Diventa paonazza, riesce a controllarsi e dice: “La sua
lingua mi ha già ferita una volta, bisogna fare attenzione con lei…” Guarda
Caterina svenuta nel letto e continua: “però era già malata…malata di cosa?”
“Un male che crede incurabile che nella realtà non uccide,
qualunque cosa sia è una credenza che glielo trasmette. Se la cosa le interessa
la recita che stiamo facendo tende proprio a scoprirlo, se vuole, lei e le sue
sorelle, potete partecipare.”
“Cosa dovremmo fare?”
“Quello che fate di solito, vestirete la Madonna e poi la
porterete in processione solo che questa, invece di una statua, sarà una
madonna di carne. Le chiedo tempo fino a stanotte, poi se non si riprende la
porteremo in ospedale.”
La suora è confusa. Guarda le altre, le gote di Caterina
hanno ripreso colore, una prova a scrollarla ma rimane addormentata, tutte
ricambiano lo sguardo con una luce
curiosa negli occhi. Lei dice: “Siamo venute da Salerno per rimettere a posto
la chiesa, ci fermeremo per un po’, oggi dobbiamo sistemare i nostri alloggi
nella canonica, i muratori verranno domani e…nel frattempo può stare qui, per
il resto non so ancora, ci devo pensare…”
Le acque si sciolgono, Guappo mi prende in disparte e dice:
“Tu la daresti a vendere anche al diavolo, però quello che hai detto è vero,
Caterina è sempre stata strana. A me piace farmi quelle che mi pare ma con
lei…è come se mi teneva un cappio e mi lasciava sempre a bocca asciutta, questa
storia mi ha proprio preso. Abbiamo tutti i vestiti strappati, adesso qualcuno
di noi tornerà a Napoli per prenderne di nuovi, siamo soci di una cooperativa
teatrale ed anche se non disponiamo di grandi mezzi abbiamo un fornito
guardaroba, come dobbiamo vestirci per il balletto di stasera?”
“Questa sera sarà una cosa leggera anche se non si può mai
dire, il climax salirà nelle serate successive. I particolari li dirò oggi
comunque i vestiti da zingari li avete strappati, bisognerà creare un ambiente sul
tipo di fauni e ninfe come sono ritratti negli scavi di Pompei, un loco ameno,
quindi cose leggere, eccitanti, mettici del tuo…inoltre la prima ballerina…” rivolto
alla bastarda le chiedo: “Sai ballare sulle punte?”
Lei risponde: “Me la cavo.”
“Allora la interpreterai tu al posto di Caterina, trova
anche un tutu bianco con le scarpette della sua misura ed uno da madonna per
Caterina.”
Guappo chiede: “Perché vuoi dare la parte a lei, le altre
protesteranno.”
“I giapponesi sono pieni di soldi, un mercato interessante,
quando questa storia sarà finita potrete ripeterla nelle piazze al posto delle
solite pizze e tutto quello che fa pubblico è bene.”
“Cosa dovrei fare?” chiede la Bastarda.
“La figura di Madama Butterfly solo che cercheremo un finale
diverso, per il resto improvviserai.”
“Non so se sarò capace e poi non sono giapponese.”
“Una figura di ritorno del linguaggio, com’è disposto il
mondo oggi non si capisce ma nella realtà è già così. La storia di Butterfly,
il suo suicidio, potrebbe essere avvenuta altrove ed avere attinenza con la
morte di Izanami, quindi con Euridice e con Caterina. Al posto del citrullo
americano questa volta metteremo un poeta, Orfeo e vedremo come andrà. Hai
paura?”
La bastarda arrossisce e risponde: “Non è paura…è paura,
cercherò di vincerla, io…non sapevo ancora cos’era un poeta ma forse comincio a
capire…”
Altre acque che si sciolgono, nel frattempo, con Macaco,
facciamo un giro a studiare la chiesa.
Una pianta quadrata che si allunga sullo sfondo dove su un
rialzo c’è l’altare maggiore. Sotto la navata dal soffitto a cupola ricoperto
di ragnatele con una finestra circolare al centro due file di panche e due
confessionali tarlati sugli angoli ai lati del portale. Sulle pareti annerite
dal tempo si intravvedono i contorni di affreschi indecifrabili eccetto la
figura sbiadita al centro di una che rappresenta un barbone seminudo tra le
nuvole con le braccia aperte e lo sguardo rivolto al cielo. Sopra l’altare si
eleva il crocefisso, anche questo completamente nero di tempo.
Macaco dice: “Potrebbe essere la figura di Nerone.”
“Potrebbe essere, Tacito parla di un pseudo Nerone che esce
fuori dopo le guerre civili e poi viene crocefisso.”
“Nerone è l’imperatore.”
“Esatto, le storie sono collegate, in America si vede nel
nerone del libro Mandingo che poi viene bollito vivo dal marito cornuto, mentre
nella nostra storia la sua parte si interrompe alla chiesa, poi Caterina si
addormenta, probabilmente quella parte finiva lì ed in seguito venne
strumentalizzata con una notizia falsa caricata sul punto finale del fenomeno.
Solitamente le bambine quando scappano a nascondersi si portano dietro la
bambola, questa è la chiave di lettura perché è quella bambola a venire
crocefissa.”
“Per quale motivo lo avrebbero fatto?”
“La causa?...probabilmente politica, comunque si vede ancora
un inversione di nome e forma, cioè il nome nero prendere la forma di un nero
morto, un negro. Questo ci collega al negro dello Zar Pietro ed alla lavandaia
Caterina e di riflesso a Michel Jackson, un nero bianco. Sono tutte storie
inventate, bisognerebbe risalire a chi le ha inventate.”
Macaco dice: “Seguendo le figure doveva essere un poeta e
questo collega tutti gli effetti alla causa.”
“Proprio così, chiunque fosse quel poeta lavorava su uno
schema fisso inventando ogni volta una storia diversa, il poeta doveva essere
comunque abile ma non ha importanza, invece lo schema su cui lavorava è molto
interessante.”
“È vero, sembra qualcosa che comunque alla fine si va a
rinchiudere in un buco come fa Caterina entrando in chiesa. Con lo schema
chiunque sappia scrivere potrebbe averle ideate. Dalla nominalità ai fatti è
conseguenza.”
“Nel macrocosmo ma bisogno anche calcolare il microcosmo,
cioè dove quel buco veramente è, quindi i movimenti dell’ovulo e dello
spermatozoo. Qui la storia si fa interessante, quel poeta probabilmente sapeva
scrivere solo su uno schema fisso mentre noi sappiamo improvvisare. Nelle
figure si vede che il poeta, dopo aver organizzato la compagnia fa una brutta
fine, dovremo trovare un finale diverso. Immagina, che succederebbe se Izanagi,
andando in cerca di Izanami si trovasse di fronte una peppia come Michico?”
“Scapperebbe e si ripeterebbe la storia, mi sembra
evidente…”
Silenziosa come un fantasma arriva la suora, tossisce per
richiamare l’attenzione e mentre la guardiamo dice, rivolta a me: “L’altra
mattina quando l’ho vista sul battello mi sono sentita mancare ed ora l’ha
ritrovo qui, forse è la provvidenza che ci ha fatti incontrare, erano anni che
sognavo questo momento.”
Rispondo: “Le vie del signore sono infinite, non le nascondo
che anche a me fa piacere rivederla.”
Macaco interviene. “Sembra la storia di due piccioncini che
si ritrovano, esco a curiosare sul culo
delle campane, lo trovo un argomento molto interessante.”
“Preparati.” Gli dico mentre si allontana, “in seguito faremo un’esperienza molto
originale con uno di quei culi.”
Macaco alza un braccio ridendo ed esce dalla chiesa.
La suora è imbarazzata, sul viso le rughe sono scomparse,
solo intorno agli occhi una fitta ragnatela con al centro due piccoli ragni che
guardano.
Per rompere il silenzio dico: “Sono passati più di
trent’anni da quella sera, in quell’ospedale mi sentivo chiuso in una prigione,
ero angosciato, scrissi quella cosa per sfogarmi e poi quando è apparsa lei…era
così bella in quell’abito bianco, sembrava una sposa…un angelo…tutte le sue
premure per darmi conforto, non sapevo come sdebitarmi ed allora le diedi quella
poesia, era l’unica cosa che avevo.”
“Non cerchi scuse…” dice lei addolcita dalle parole, “Come ha potuto scambiarmi per quella…”
“Me lo sono chiesto, comunque in quel modo presi due
piccioni con una fava e se l’ho fatto un motivo ci deve essere. Forse di lei
avevo visto solo l’abito ed in quello sembrate tutte uguali e poi…ha una bocca
interessante…se invece di quelle medicine che mi proponeva mi avesse sbottonato
i pantaloni e…”
La suora arrossisce e mi interrompe: “Di cosa parla?” indica
il crocefisso: “Le sembrano cose da dire davanti a lui?” rimane qualche secondo
in silenzio e in tono civettuolo, con aria di sfida continua: “Perché non me
l’ha chiesto, cosa ne sa?”
Ignorando la domanda rispondo: “Non è facile parlare con una
suora, ci sono un sacco di pregiudizi, si credono cose e poi se ne vedono
altre, quello che successe allora…stiamo facendo un gioco, se vuole partecipare
la regola è che non bisogna dar peso alle parole. La chiesa sembra una
trascendenza della realtà, qualcosa che sta al di fuori, per fare un dialogo ci
vuole…come dire…lei è pratica di ospedali, deve sapere meglio di me che in un
manicomio ai matti si dà sempre ragione…non so neppure come si chiama.”
“Adesso sono suor Michela…cosa significa questa storia del
manicomio?”
“Un nome vale l’altro, la forma sembra sempre la stessa, un
porcile, non so fino a che punto nominale. Diamoci del tu, come fai nei tuoi
sogni.”
Suor Michela rimane un attimo silenziosa e ribatte: “Coma
fai a sapere che cosa sogno e poi…se mi consideri una pazza, a che serve
parlare?”
“Vedo che hai capito, hai detto una coltellata al cuore,
sembra un punto di ripristino del sistema, potremmo ricominciare da allora.”
“Adesso sono vecchia.” Dice lei imbronciandosi.”
“Hai cambiato abito, adesso sei in nero, sta portando il
lutto per qualcuno?”
“Questo è l’abito dell’ordine a cui appartengo, forse…in
memoria di nostro signore.”
“Mi piacerebbe sapere quello che sognavi quella notte, e
poi…vedertelo fare nei fatti perché a parole uno scrittore lo capisce da solo,
uno si immagina una madonna vergine, una sposa fedele e invece, un riflesso
della realtà, si vedono due facce, due comportamenti uno opposto all’altro ed
uno che nega l’altro prendendone la forma, come il totem che vi rappresenta.”
“Tu parli del diavolo, la sposa fedele è vera ed io lo
credo…l’altra non so cos’ è.”
“La sposa fedele, è quel che credevo, non avrei mai osato
contenderti a tuo marito.” Dico indicando il crocefisso.”
“Lui mi avrebbe perdonata…è così buono…”
Sulla testa del crocefisso il cartello con INRI è annerito
come il resto, delle lettere si leggono solo le RI finali, più che altro per
l’abitudine a sapere che stanno lì.
“Che cosa significano?” chiedo alla suora.
“Non lo hai fatto il catechismo? Significa Re dei giudei.”
“Re dei giuda, eppure è scritto chiaro, la faccia che appare
e quella che sta sotto, coperta dall’abito, la figura della chiesa che si
riflette sull’universale.”
“Questa è un offesa alla sua sofferenza, come fai a parlare
così?”
“Quello è di marmo, che male vuoi che senta? Mi piacerebbe
vedere cosa sarebbe se fosse di carne, forse tutti quei sogni svanirebbero e la
realtà prenderebbe la sua vera faccia ed a quel punto non potresti più mentire,
il bene sarebbe quello che è, puro male.”
“Hai detto che in un manicomio ai matti si dà sempre ragione.”
“Infatti, non ti voglio convincere e neppure farti morire di
fame, sono solo parole, nella trascendenza si vede un porcile per peppie,
sfigate e ricchioni incompresi, se la trascendenza rientrasse potrebbe rimanere
tale nella carne, senza l’abito si vedrebbe la realtà, sarebbe un bel guaio
uscire dal sogno se non venisse impostato nel modo giusto.”
“Vuoi dire la madonna di carne da rivestire? Allora…va bene,
parteciperemo alla recita, però…”
“Una gran puttana!”
“Forse…un coltello nel cuore sento.”
“Il male incurabile che ti spinse a trovare rifugio in
Chiesa in attesa del miracolo che solo il re dei Giuda poteva fare…”
“Tu la metti in un modo che…comunque qualcosa del genere…se
hai capito questo devi aver capito anche il resto, che altro potevo fare?”
“La figura della superbia l’abbiamo già trattata, chiesa,
Gesù Cristo ecc. sono solo parole e le parole non si giudicano, adesso stiamo
facendo un gioco, dobbiamo studiare la parte che reciterai stasera.”
“Potrei recitare il rosario…che parte mi vuoi dare?”
“Perché no? sarebbe un ottimo contrasto, la realtà e il
sogno, la via crucis ecc., la stessa trama accomuna il mito e le religioni,
prima e dopo Cristo, l’introduzione del crocefisso nelle chiese, nel buco dove
ti sei andata a nascondere come ha fatto Caterina. Vorresti recitare rosari in
eterno o preferiresti che ti prenda subito alla pecorina e ti fotta come un
demonio infocato?”
La suora allarga leggermente le gambe sotto la tonaca e
risponde: “Sono solo parole, nei fatti non mi chiederesti mai una cosa simile.”
“È vero…eppure cosa c’è di più eccitante di farselo
succhiare da una suora maiala, certi aspetti della chiesa andranno mantenuti
magari con qualche piccolo ritocco, il problema è il marito cornuto…” concludo
la frase indicando il crocefisso.
“Perché lo chiami così, lui…”
“È quello che si vede…un marito crocefisso non può tradire
ma questo ha due facce solo nominali perché nella realtà è una statua di marmo.
La recita di stasera anticipa la discesa agli inferi di Orfeo alla ricerca di
Euridice, nel cristianesimo si vede la discesa di Cristo che poi porta fuori la
mentalità degli ebrei, in questo caso ebrei ed Euridice si collegano ed è un
indicazione, o meglio, una variante apportata alla storia. La cosa si traduce
in una chiesa ospedale in attesa che torni Cristo a fare il miracolo mentre
prima seguiva una sirena in attesa della poesia. Poesia e miracolo si
identificano ed il poeta diventa Cristo, un dottore crocefisso.”
La suora ribatte: “Ti sei messo a parlare difficile,
preferivo le pecorine…”
“Non avere fretta ad uscire dal sogno, la figura va studiata
attentamente perché in qualunque modo la si guardi porta sempre allo stesso
risultato. Cosa saresti senza quell’abito?”
“Solo un miracolo potrebbe salvarmi, ho capito.”
“Quindi la gelosia non c’entra. Quella puttana che sei,
l’amante dei tuoi sogni e Gesù Cristo cornuto, un triangolo che si identifica
nella sognatrice. Gesù Cristo è una parola che fa paura, può mandare
all’inferno oppure in paradiso, un rivale pericoloso figlio di un Dio che apre
la strada agli ebrei sullo sterminio dei bambini egiziani, un fiume di sangue,
il mar rosso che si apre ecc. quindi… Sei già in menopausa?”
Risponde impallidendo: “Ho quasi sessant’anni…che importanza
ha?”
“Dicevo così per dire eppure il filo da seguire è quello
anche per Euridice, una cosa che sta dentro la figa, uno schema a cui ad un
certo punto si inserisce il re dei giuda crocefisso, un dottore che fa
miracoli. La figura che segue, un altro
sterminio di bambini ebrei che apre il mare di sangue a Cristo solo che questi
fanno pena e la pietà si trasferisce sul re dei giuda, il figlio di dio che si
salva dalla strage quindi…”
Le accarezzo il ventre appena sopra la figa e dico: “Chissà
che porcherie devono uscire da qui sotto.”
La suora avvampa e si irrigidisce osservando la mia mano, la
toglie e ribatte: “Ora non so più se parteciperò alla recita.”
“Se vuoi prima te la posso leccare.”
“A parole, che vuoi che mi importi?”
“Infatti, sono solo parole, di cosa ti scaldi?…sembra un
istinto materno puramente animale, i bambini poveri ti fanno molta pena?”
“Sì, siamo tutti figli del signore, anche loro, che colpa ne
hanno?”
“Risposta probabile per una suora, bisognerebbe sentire
anche quella del re dei giuda che sta sotto che chiede l’elemosina per quei
bambini e ti riempie il piatto dove mangi.”
“La stai mettendo su un piano di orrore, la chiesa non la
pensa così.”
“Nel manicomio i matti hanno sempre ragione.”
“Va bene, e allora?”
“Allora cosa? È una figura, si vede un ovulo nella figa con
di fronte un crocefisso nero che fa pena seguito da un fiume di sangue di
bambini morti e l’ovulo prega il crocefisso in attesa di un miracolo, bisogna
combinare la cosa e vedere che storia vien fuori. All’inizio faremo così, dopo
la processione vi metterete intorno a Caterina vestita da madonna che crede di
essere morta recitando il rosario mentre Orfeo, dall’altra parte, con la sua
poesia creerà l’inferno rinominando quei bambini morti.”
“Vuoi dire che li farà resuscitare?”
“Assolutamente no, quella di quei bambini morti è solo una
favola, ne scriveremo un’altra partendo dal nulla.”
“Tu hai detto che il poeta si identifica in Cristo.”
“Questo è nel tuo sogno, in questo caso Orfeo starà
all’esterno, cioè prima che nelle chiese entrasse il crocefisso.”
“Il mio sogno…”
“Due maiali che si rotolano nella merda mentre il povero
cristo sta a guardare impotente!”
“Come fai a saperlo?”
“Il feto è conseguente, Cristo suona con cristero ed il
giudice infernale che c’era prima si chiamava Eaco che suona con cacca. Devi
essere proprio una vacca.”
“Eppure è così eccitante, peccato che sia solo un sogno…e
che prima o poi dovrò svegliarmi.”
Prima di uscire dalla chiesa mi fermo a guardare Caterina
sul lettino. Al suo capezzale c’è una suora con le maniche rimboccate ed una
ramazza in mano. La sta osservando pensierosa come persa in un sogno. Mi vede e
d’impulso dice: “Com’è bella, sembra proprio una madonna.”
In quel momento Caterina ha un sussulto, le sue labbra sono
scosse da un tremolio e la sua voce pronuncia, come se cantasse: “Scopare,
scopare…”
La suora rimane stupita, prova a scuoterla senza riuscire a
svegliarla e silenziosamente torna fuori a ramazzare il sagrato.
Esco. Il sole si è ancora alzato, siamo a metà mattina,
sulla strada che porta al villaggio sta passando un motocarro rombante guidato
da un minatore nero con sul pianale una grossa cassa. Qua e là si vedono
ragazzi della compagnia chiacchierare, un chitarrista, su un masso che cinge il
cimitero, sta strimpellando una canzone triste, due ballerine sedute accanto a
lui con le gambe scoperte lo guardano canticchiando a bocca chiusa.
La figura cresce, prendo carta e penna e poi cerco un
posticino isolato in vista sul mare per un’idea che frulla, lo trovo, la collina scende ripida
verso il villaggio e lo sguardo continua al porticciolo e dopo la baia naturale
che lo cinge aprendosi alle onde. Una bella pisciata poi mi sistemo in una
nicchia rocciosa accovacciandomi come un aquila che non sa ancora dove volare,
rollo una canna ed in attesa dell’ispirazione guardo il vento della poesia
scorrere sulle onde fin dove arriva lo sguardo, il vento diventa lingua, le
onde leccate s’arricciano di spuma e spruzzi goduti, il vento aumenta e lecca
più forte, il mare si increspa ed inizia a ruotare, lentamente si forma un
gorgo che si allarga sprofondando agli abissi, il vento preso dal vortice
inizia a turbinare, diventa una tromba d’aria che arriva fino al cielo, ruota
intorno al vortice e ci infila la punta poi piano piano lo penetra stantuffando
su e giù ed arrivato al fondo accelera e si mette a fottere alla grande
ululando selvaggio…
Il sole ritira il raggio della sua bacchetta magica, butto
giù tracciando l’idea sulla carta e poi torno a passeggiare sul foglio.
Ragionando sulle parole che fanno incantare che forse sono
le più pericolose rientro al villaggio scendendo per la scarpata, scivoli,
salti, capriole…è quasi mezzogiorno, Mona ha disposto una tavolata di fronte
all’albergo e ci sono le due contadinelle che la stanno apparecchiando.
Nell’aria si sente il profumo di pesce e di sugo al pomodoro e basilico che
cuoce, il piazzale si è asciugato e la fontana ha allungato il suo getto.
Arriva Guappo a piedi nudi vestito in jeans e camicia bianca
insieme ad un tipo sui trent’anni, alto e dinoccolato vestito con un completo
di lino scuro, la faccia spigolosa con un grosso naso adunco ed i capelli neri
lunghi e lisci con in una mano l’astuccio di un violino ed una ragazza anche
questa sui trent’anni, sul metro e sessanta, i capelli biondo castano lunghi
raccolti in una treccia, il viso grazioso dai tratti aguzzi, gli occhi grandi
neri luccicanti e molto truccati, la bocca appetitosa col rossetto scurito sui
bordi, in casacca corta a pezze difformi con colori vivaci stretta in vita da
un cordino che le lascia scoperte le gambe polpose e ben disegnate fino a metà
coscia, ai piedi un paio di sandali aperti allacciati sulle caviglie.
Guappo dice presentandoli: “Ci sono due nuovi arrivati, lei
è Teresa, una cantautrice, lui è
Sherlock, suona nell’orchestra della rai
di Napoli, è primo violino. Quando hanno saputo son voluti venire a tutti i
costi.”
Dopo aver ricambiato le strette di mano e la presentazione
dico: “Potrebbero essere utili, andiamo a sederci e ne parliamo con calma.
Ci sistemiamo al tavolo, Guappo a capotavola ed i due di
fronte a me. Pizzico il sedere alla contadinella bionda che si è avvicinata e
le dico: “Porta qualcosa di fresco da bere.”
Lei strofinandosi il sedere strilla: “Che ti sei ammattito?”
“Sei così carina, non ho saputo resistere.”
La ragazza arrossisce e corre svolazzando dentro l’albergo.
Rimaniamo qualche minuto a parlare di questo e di quello
poi, dopo che la cameriera porta il vino e Guappo riempie i bicchieri dico
rivolto a Sherlock: “Questa sera ci starebbe proprio bene un pezzo di violino,
sai improvvisare?”
Lui, con voce vellutata che esce da una bocca grande con le
labbra sottili risponde: “Dipende, conosco molti pezzi a memoria, per
improvvisare devo essere in estro, non sempre mi viene e comunque devo lavorare
su un tema.”
“Il trillo del diavolo!” ribatto.
Lui rimane silenzioso qualche secondo e dice: “Chiedi poco,
avrei bisogno dello spartito, è un pezzo molto impegnativo.”
“Lo spartito non serve, solo l’idea da realizzare nel
crescendo, bisogna lasciarsi andare, ho in mente un accompagnamento di
sottofondo che ti lascerà a bocca aperta.”
“Ci posso provare, sembra che hai il fuoco dentro e riesci a
trasmetterlo. Da quel che ha raccontato Guappo devi essere un musicista per
saper impostare queste cose.”
“Come musicista sono un dilettante ma la musica è parte della
poesia ed in questo, conoscendo le basi, si può suonare a parole meglio che con
qualsiasi altro strumento.”
“Non sono d’accordo.” Ribatte lui guardandomi fisso, “per me la musica è tutto e non c’è nulla che
la possa superare ma se riuscirai a dimostrare il contrario sono pronto a
ricredermi.”
Rivolta alla cantante continuo: “Vorrei inserire anche due
canzoni, di una ho appena scritto il testo e dopo parlerò con gli altri
musicisti per musicarla poi ci vorrebbe…qui a Napoli siete rinomati per le
lagne, ne devi avere senz’altro una nel tuo repertorio.”
Lei mi guarda attenta e dopo essersi strofinata una lunga
lingua rossa sulle labbra chiede, con voce flautata: “Che cosa sono le lagne?”
Guappo interviene ridendo: “Stai calma…non lo ammazzare
ancora, ho dimenticato di dire che ha la lingua tagliente, ci siamo impegnati
per tutto il tempo a non dar peso alle parole altrimenti l’avrei già ammazzato
io.”
Rispondo: “Lagne, come le chiamate qui? Quelle canzoni
nostalgiche che parlano dei poveri migranti che partono per Torino oppure di
sole di mare e di pizze.”
Lei, con voce aspra risponde: “Ci sono anche quelle e ce ne
sono altre, se non sai vedere la poesia nella canzone napoletana vuol dire che
non vali nulla.”
“Non ti voglio contraddire, la poesia c’è e ci sono momenti
che è anche piacevole da ascoltare, il gusto della musica è soggettivo ed a me
piace il rock sfrenato oppure l’improvvisazione e in questo caso è musica pura.
La poesia nella canzone napoletana è indubbia ma se tu avessi letto miliaia di
libri come me e scandagliato la poesia di ogni cultura forse capiresti Troisi
quando abbindola la tarantolata con le poesie degli altri. Comunque i gusti, che
siano pro o che siano contro, non si discutono. Per il balletto ci vuole una
canzone per accompagnare la Bella Addormentata sulla fontana dove prima faceva
la sirena. Qui poi diventerà l’antro della Sibilla Cumana e la porta dove Orfeo
entrerà alla ricerca di Euridice, se ce ne sarà bisogno.”
Teresa, dopo essersi strofinata le labbra con la lingua
dice: “Bella Addormentata e poi antro…cosa significa?”
“Insomma, cos’hai in mezzo alle gambe?”
Lei tamburella nervosamente le dita di una mano sul tavolo e
ribatte: “Una figura strana…quello che mi piacerebbe è spaccarti la faccia
però, a pensarci bene…che figura! Forse non sei cafone come sembra. Perché
Euridice?”
“Di questo parleremo dopo quando ci saranno gli altri.”
Lei sorride con lo sguardo ancora perso nella figura e dopo
essersi umettata due volte le labbra con la lingua dice: “Può essere un caso ma
ho da poco composta una canzone che si chiama proprio La morte di Euridice, è
un mito che mi ha sempre affascinata.”
“Tirala fuori, che aspetti?” sbotta Guappo.
Teresa fruga nella tasca della chitarra e prende un fascio
di fogli, li scartabella e ne scopre uno, ripone gli altri e tenendolo aperto
in mano dice: “È una canzone triste su un ritmo folk, volete sentire il testo?”
Dopo l’assenso continua: “Dolce morir di questa lama…”
arrivata al fondo chiede: “Ti piace questa lagna?”
“Può andare, un ottimo contrasto con il testo che ho appena
scritto, andrà subito dopo il violino, sarà la musica su cui poi si baserà
l’orchestra in accelerazione, ancora le onde ma questa volta di tutt’altro
tipo.
Teresa dice: “Fammi vedere il testo.”
Glielo passo e dopo averlo letto due volte esclama: “Non
canterei mai una cosa simile!”
Lo rilegge ancora una volta e lo passa agli altri. Mentre
quelli la leggono dice: “Tu devi essere pazzo, un testo stupendo e ci metti
parole che lo sporcano tutto!”
“Parole, sono solo parole, i contrasti danno elettricità,
formano contrappunti tra le parole che danno movimento, corpo e fanno da sponda
ai significati, che siano parole sporche è un giudizio, per me invece sono
tutte uguali, semplici suoni da accostare tra loro.”
Sherlock dice: “La tua è un interpretazione della poesia
molto interessante, penso lo stesso della musica. Questo testo è blasfemo e
bello nello stesso tempo. Per quel che riguarda le lagne della canzone
napoletana sono d’accorto con te, li ho sempre trovati dei testi piatti
rispetto la musica ed alle possibilità del contrappunto. Questo testo non
potrebbe mai venir cantato in un teatro ufficiale ma se non si dà peso alle
parole ha una musicalità che proverò a esporre con il mio violino.”
Guappo, dopo averlo letto e riletto dice: “A me piace, nelle
piazze lascerebbe tutti a bocca aperta, ci vorrà anche il coro.”
Causa l’appetito la tavolata si popola. Arriva Macaco con la
Bastarda e si siede accanto a me. Dice: “Che profumi, che colori ci sono da
queste parti, mi ricordano la spuma del mare che sale a colorare i fiori ed i
vulcani delle nostre isole, una tavolozza a cui attingere, mi sento l’animo
colmo di poesia. Se un giorno verrai da noi sarei felice di farti vedere tutte
quelle cose che ancora non sai del Giappone.”
La bastarda aggiunge: “Piacerebbe anche a me venire con lui,
a me sembra che le sa vedere meglio.”
Macaco continua: “Non ti fare abbindolare dalle sue parole,
ci mette del suo ma tutto quello che sa lo ha preso dalla poesia di Mishima,
vedere coi propri occhi è un'altra cosa.”
La contadinella bruna si intromette tra noi per posare un vassoio di
pane e grissini, mi spintona poi sosta indugiando protendendo il sedere.”
“Che vuoi?” le chiedo.
“Beh…a me non lo dai il pizzico?” risponde sfacciata.
“A te do una bella sfilza di sculaccioni se non pussi via!”
La ragazza fa una spalluccia, mostra la lingua e si
allontana sculettando.”
Teresa ha osservato la scena rimanendo allibita. Dice: “Sei
proprio un cafone, ti sembra questo il modo di fare?”
Ribatto: “Tu devi essere una femminista ma questo è
comprensibile con tutti quei ricchioni che dominano la cultura di Napoli.”
Teresa fa per rispondere per le rime ma un ballerino dal
fondo del tavolo, con voce aspra, la anticipa: “Ancora! Che cos’hai contro i
ricchioni?”
Quelli intorno a lui gridano: “Calcio in culo, calcio in
culo!”
Quello: “Mannaggia, m’ero dimenticato la passatella…”
Mentre si alza per ricevere la penitenza Teresa chiede:
“Cos’è questa storia del calcio in culo?”
Guappo risponde: “Si può dire quello che si vuole e chi si offende
si prende un calcio in culo, sembra una cazzata ma da quando abbiamo iniziato
questo gioco mi sento più leggero, avevo un sacco di cose dentro che rodevano.”
“È vero!” dicono in parecchi nella tavolata.”
“Immagino che dovremo farlo anche noi?” chiede Sherlock
imbarazzato.
Rispondo: “Certamente, è il filo conduttore di questa
storia.”
Lui continua: “Tutto il contrario di quello che si fa di
solito…è come tornare bambini, va bene, ci sto anch’io.”
Teresa lo guarda sorpresa e dice: “Credevo che fossi una
persona seria.”
“Infatti lo sono…tu non puoi capire, ci sono cose che si
hanno dentro e non si sa come dire perché non c’è nessuno a cui dirle, fin’ora
sono riuscito a esprimerle solo con la musica ma ora ho visto il collegamento
con la poesia e sono molto interessato. Se le condizioni sono queste mi va
benissimo.”
Teresa replica: “Come sarebbe non posso capire?” rimane
qualche secondo pensierosa poi si scuote e rivolta a me dice: “Va bene, ci sto
anch’io, sono una femminista, non lo ritengo affatto un’offesa anche se non
capisco cosa centri coi ricchioni.”
Mentre in tavola vengono serviti gli antipasti ed inizia il
pranzo le dico: “Quello che sei non ha alcuna importanza, per poter esprimere
il balletto di stasera bisogna prima preparare il terreno ed ogni poeta ha i
suoi metodi. Tu sei femminista eppure sostieni la canzone napoletana che è
maschilista per eccellenza, la voce di un ghetto di barboni ebrei!”
Teresa s’infiamma, riesce a controllarsi e esclama: “Questo
è un tuo giudizio!”
“È quello che si vede, dopo O sole mio la canzone più famosa
è la Malafemmena di Totò, il povero Cristo cornuto e galantuomo che impreca
contro una donna che l’ha tradito, la figura di Catullo e Lesbia, amo ed odi
eccetera, è una canzone maschilista che si collega a Troisi ed alla moglie di
Scarpetta, la figura di San Giuseppe e della sacra famiglia. Sembra una logica
covata nel ghetto napoletano, un uovo che ciclicamente viene rotto e trasmesso
al resto del mondo.”
Teresa fa per ribattere ma Sherlock l’anticipa: “Insomma bisogna
uscire da quel ghetto, il mondo borghese, hanno tutti una serva per antenato e
poi il figlio che ha saputo fare i soldi e si credono padreterni.” Guarda
Teresa e aggiunge: “Come te!”
Lei sbuffa: “Insomma…c’è l’avete proprio con me. Questo è
maschilismo puro.”
Un ballerino vicino a noi dice: “Quale maschilismo?… ieri
notte se non si metteva a piovere ci mangiavano vivi, siete voi le
maschiliste!”
Le ballerine si mettono a strillare e quando si chetano
continuo: “Il gioco delle parti, forse non hai mai trovato qualcuno che ti
abbia saputo fottere come si deve, il fuoco, la passione, il furore e come
potresti con tutti quei ricchioni?”
“Perché non me lo insegni tu?” chiede lei e aggiunge: “Può
essere però a me piace come sono e non voglio cambiare!”
Sherlock riprende: “Le femme…della canzone napoletana direi
che il giudizio migliore lo abbia dato Bennato, sono solo canzonette, come le
sue. Adesso parliamo di musica, prima hai accostato l’improvvisazione alla
musica pura, mi sembra un argomento più interessante.”
“Ogni compositore è un improvvisatore, la poesia della
musica, Beethoven era sordo, i suoni li poteva solo vedere, la musica la
improvvisava scrivendo e questi suoni che vedeva sono puri, stanno su un’ottava
superiore che suona esattamente come le parole comunque sempre contenuti
nell’immanenza. Se adesso ci mettiamo a fare una discussione sulla musica non
la finiamo più, atteniamoci a quel che ci interessa. Il canone letterario si
basa su narrazioni contrappuntate intorno ad un tema centrale, questo vale
anche per il canone musicale, è una cosa che si può solo guardare come solo
guardando si può ascoltare una fuga musicale.”
Sherlock continua: “Sì, è vero, il problema di molti
concertisti capaci, il rapporto con il pubblico, l’incomunicabilità, sembra di
suonare per niente, non c’è lo stimolo perché nessuno capisce.”
Aggiungo: “Anche perché si tende ad imitare il comportamento
di ricchioni come Muti o von Karajan!”
Senza scomporsi Sherlock dice: “Può essere.”
“La musica la so vedere eppure una volta venni cacciato da
un auditorium di classica perché non avevo la cravatta.”
Sherlock: “Una questione di apparenza, non di qualità, un
altro ghetto che sforna sempre le stesse pizze.”
“Abbiamo centrato la questione, adesso proviamo ad uscire
dal ghetto per riprendere la musica, ad esempio a me frega niente del pubblico,
scrivo e suono per il piacere di farlo e questa potrebbe essere un indicazione.
Lo sviluppo dei suoni è soggettivo per ogni musicista ed ognuno lo vede a modo
suo, sarebbe inutile insegnare ai gatti ad arrampicarsi, il ghetto è solo
nominale, la musica classica è diventata come il latino, una lingua morta ed i
musicisti si sono messi il paraocchi e non vedono la sua evoluzione.”
Sherlock medita le parole e continua: “Evoluzione…vorresti
collegare i suoni di Tartini o Beethoven con la musica di oggi? Mi sembra una
bestemmia.”
Ribatto: “E tu mi sembri un somaro.”
“Può essere…” sbuffa lui senza scomporsi.
“La cosa va vista con filosofia, il canone si guarda. Oggi
la musica classica si è sepolta nell’atonalità, nella faciloneria del pubblico
e si può riprendere solo dal punto dove veramente è seguendo la sua evoluzione.
Il motivo conduttore della fuga musicale è uno schema, lo schema è nome, la
forma universale la si può vedere nella singola esecuzione ed anche nell’intera
storia della musica, un unico motivo intorno a cui sono contrappuntate tutte le
composizioni da che al mondo si suona musica.”
“Il motivo…” continua Sherlock, “Interessante… il Trillo del diavolo di
Tartini, hai detto solo l’idea ed ho capito subito, l’idea di ogni musicista,
il patto con il diavolo ed il sublime.”
“Proprio quello, questo motivo sembra provenire dal mito
greco, la lira che Apollo donò ad Orfeo
che gli permetteva di animare le cose morte.
La provenienza dalla Grecia non è probabile, cioè non è accertata dai
fatti. La storia si ripete, in questo caso in Grecia nella storia si dovrebbe
vedere uno sviluppo culturale elevato ed invece si vedono solo accattoni che
chiedono l’elemosina. Questo schema lo si vede svilupparsi dai fatti prima da
Tartini sullo sviluppo del rinascimento italiano e poi dai musicisti tedeschi e
russi ispirati dal Faust di Goethe, quindi sbarcare in America novello Colombo
nel rock americano ispirato dalla poesia di Manson, un serial killer che si traduce
in Marylin Manson, il nome di un ermafrodito che si collega al Faust di Goethe,
un dottore che faceva miracoli, quindi a Cristo.”
“Salti come un grillo…” dice Scherlock, “comunque ho seguito le figure. Il rock mi
sembra solo frastuono, si dovrebbe ricominciare da lì?”
Guappo interviene: “Perché non lo sai ascoltare, è una
musica che carica ed ai giovani piace mentre la classica è…proprio come la
canzone napoletana, sempre la stessa pizza…una noia.”
“Può essere…” ribatte Sherlock, “in tal caso i musicisti dovrebbero morire di
fame?”
“Quello dei musicisti non è affar nostro, il musicista non è
il pubblico, la forma del musicista è il pubblico ed ogni musicista ha il
pubblico che si merita, il problema è solo nei compositori, cioè quelli che
sanno improvvisare e qui sta il piacere della musica come di ogni altra arte.”
Teresa dice: “Va be’,
allora dimentichiamo tutto, anche il rock e ricominciamo a fare musica.”
Sherlock: “Sono d’accordo, solo per il piacere ma il tema
del diavolo rimane comunque affascinante, con che cosa lo cambieresti?”
“Il diavolo, vuoi dire Gesù Cristo, il re dei Giuda! Il bene
riflesso allo specchio è male, fuori dalla logica del bene e del male rimane
Goethe che scrive di Faust e Margherita, un poeta. Astratta la figura del poeta
si vede la poesia, c’è una novella del Boccaccio che parla di rimettere il
diavolo nel suo inferno, la figura del cazzo nella figa, una bella scopata, il
tema del prossimo balletto però prima vorrei discutere il mito di Orfeo.”
Sulla tavolata le portate si succedono, bicchiere dopo
bicchiere l’atmosfera si è fatta allegra.
Teresa dice: “Su quel mito son già state scritte centinaia
di interpretazioni, che cosa vorresti aggiungere?”
“Vorrei trovarne una probabile che possa essere accertata
dai fatti. Se Orfeo amava tanto Euridice perché si volta?”
Il nerone, seduto a capotavola sull’altro lato, è stato per
tutto il tempo silenzioso a guardarmi. Gli chiedo: “Per te, perché lo fa?”
Lui, con voce incerta, risponde: “Forse l’ha trovata mentre
se la faceva con un nero…”
“In tal caso sarebbe gelosia però nel mito si vede che
Penelope attende Ulisse illibata, potrebbe essercene un altro.”
Teresa continua: “Mentre lui si faceva tutte quelle che
voleva, bella storia. Nel mito ed anche nei Dialoghi con Leucò di Pavese si
volta perché aveva visto una morta ed aveva sentito il gelo.”
“Questo è improbabile, lo sapeva anche prima come sono fatti
i morti, la putredine eccetera. Euridice doveva essere morta in un altro modo.”
Guappo dice: “Forse per strada ne aveva vista una che gli
piaceva di più.”
“Come la Rosalina di Romeo cambiata poi con Giulietta?
Potrebbe essere ma Orfeo per entrare all’inferno ed esporsi a tutti quei rischi
doveva avere una passione bruciante ed in quel caso non si cambia idea
facilmente.”
Sherlock ribatte: “Va be’, motivi potrebbero essercene
miliaia e tutti apparirebbero assurdi come assurda a questo punto è quella
storia.”
Da un po’ la vecchia grassona sta ciondolando intorno al
tavolo ascoltando il discorso. La guardo con la coda dell’occhio e continuo:
“Ai tempi del liceo avevo scritto una versione del mito, in quel caso Orfeo
creava l’inferno dal nulla cioè se lo creava lui e poi andava a cercare
Euridice e finiva che venivano tutti e due sbranati dai dannati, in questa
storia mi ero attenuto allo schema ma ora ho visto un’altra probabilità. Nel
mito non si dice dopo quanto tempo Orfeo va a cercare Euridice, ora
immaginiamoci che si trovi una grassona come quella.” concludo indicando la
vecchia.
Questa mi guarda allibita poi sbavando si mette a urlare:
“Faccie de ‘mpiso! Affocate in foce, peragliuso, che tu sia sputato in canna!”
Alla scoppiata di risate della tavolata la donna si arresta
poi corre dentro l’albergo strillando.
Finito il pranzo ci
diamo appuntamento nel pomeriggio alla pieve per organizzare il balletto e
mentre il gruppo si sparpaglia annuso l’aria alla ricerca di un filo. Il sole è
a picco sopra il villaggio, una fila di nuvolette spinte dal vento in alta
quota avanza come un trenino con la locomotiva in testa che sbuffa, stormi di rondini
provenienti dal mare volano in cerca di un ramo dove riposarsi dopo il lungo
viaggio mangiandosi tutte le mosche che capitano a becco.
Seduto sul gradino alla base della fontana c’è il nerone che
sta armeggiando intorno al suo tronco. “Disturbo?” gli chiedo sedendomi
accanto.
Lui, con voce sopranista sul registro che nell’organo è
detto celeste risponde: “Sapevo che prima o poi saresti venuto.”
Mentre arrotolo una canna dico: “qui siamo solo parole e la
tua è la figura più interessante, direi la chiave della questione, per il
momento è solo un’intuizione… bello strumento questo tronco, non ne avevo mai
visto uno simile.”
“Una mia invenzione.” ribatte lui dando una pacca su un
piattello, “L’ho fatto con le mie mani,
volevo uno strumento su cui esprimere quello che sento dentro, la natura
selvaggia, non so se puoi capire.”
Accendo, tiro qualche nota e gli passo la canna, poi
continuo: “Capisco benissimo, l’intuizione è proprio questa. È un simbolo
fallico, sembra un grande cazzone e questa parola ha più di un significato. In
che rapporti sei con Caterina?”
Nerone mi rende la canna e risponde: “Che vuoi che ti dica?
Ci conosciamo da tanti anni, lei di me fa quello che vuole, certe volte vorrei
ribellarmi ma non riesco, per me non è facile vivere qui, poi alta come sono… è
lei che mi ha presentata alla compagnia, se non fosse per lei…non è facile, è
una specie di ricatto.”
“Sei maschio o femmina?”
“Se vuoi ti faccio toccare.”
Gli passo la canna e continuo: “Non avere fretta,
l’intuizione è un embrione che cresce e questo va osservato con calma perché
quel simbolo fallico potrebbe essere…”
Lui dice: “Maschio o femmina, non lo so neppure io, mi sento
uno e l’altra e nessuno dei due e poi sono così alta, forse per questo…tutti se
lo farebbero succhiare volentieri ma poi…”
“Così lungo…un cazzone selvaggio…”
“Cosa dici?”
Grattandomi involontariamente i coglioni rispondo: “L’Arte
guarda senza toccare, Hegel direbbe che l’universale maggiore è espresso dal
minore, la tribù dal totem, nel microcosmo… bisognerebbe discutere sul
sesso degli spermatozoi, una figura
naturale, in molte specie di ragni le
femmine dopo la fecondazione si mangiano il maschio, questo dà loro l’energia
per produrre centinaia di uova, il maschio si trasferisce nelle ovaie, la cosa
è logica perché il maschio in se è femmina e viceversa.”
Mi rende la canna e con gli occhi un po’ languidi continua:
“Non parlare difficile, a me piace fremere con la musica, il balletto di ieri
mi ha esaltata, quella cosa di Hampton che hai detto la facevo anche prima, la
voce che si libera, una musica, ecco, sono proprio quello strumento.”
“Un cazzone che sborra, l’eruzione di un vulcano ed il tutto
fatto con arte!” declamo scandendo le parole.”
“Tu sei un tipo strano comunque qualcosa del genere…non
credere che sia scema, ho seguito le figure, quel crocefisso nero che c’è alla
pieve sono io. Mi sarei dovuta prendere la colpa, come in quel mandingo
americano e poi…”
“È vero, questa è la figura tramandata, nel microcosmo si
vede in uno spermatozoo nero che viene crocefisso davanti all’ovulo e lo
spermatozoo ha la forma del cazzo, la tua è una figura molto interessante.
Questo spermatozoo si identifica in Cristo, le ovaie si nutrono di lui per
produrre le uova ed i significati marci che vengono fuori sono del tutto naturali.”
Nerone, prendendo la canna, continua: “Però così l’ovulo non
viene fecondato.”
“È l’idea della non fecondazione che feconda, la figura
dello spirito santo e del figlio di dio, tutto avviene su un piano nominale che
poi si traduce nella realtà in una mestruazione di ovuli morti, che
succederebbe se il sole si trasferisse sulla Terra?”
“Bruceremmo tutti…ma che centra con quello che stavamo
dicendo?”
“L’intuizione ha la sua voce…forse è per questo che lo
spermatozoo è crocefisso, se l’idea fecondasse l’ovulo sarebbe un altro mondo,
bisogna calcolare tutte le probabilità, anche quelle che non piacciono. Da
questo punto di vista è una figura necessaria, la sua evoluzione conseguente,
nel mito Orfeo animava le cose morte con la sua poesia, la lira che aveva nelle
corde vocali, poi viene sbranato dagli ovuli che partoriscono le statue di
Cristo crocefisso, è la poesia in realtà ad essere crocefissa o meglio,
l’ordine del mondo.”
Ormai della canna è rimasto solo il mozzicone, Nerone me lo
passa e chiede: “Vuoi dire che sono la poesia?”
Sollevo la brace per tirare ancora una nota poi butto il
mozzicone e rispondo: “Nella figura si vede uno spermatozoo crocifisso, la
forma del cazzo, quindi una parte della poesia e non la considero affatto
secondaria dato che ho intuito dove si trovi realmente quella parte.”
Nerone ribatte: “Il crocefisso nero c’è solo in quella
chiesa abbandonata, solitamente è rappresentato bianco.”
“Siamo parlando di uno spermatozoo, la cosa è ancora a
livello di intuizione e visto l’importanza della figura è meglio non
sbilanciarsi troppo. La probabilità è uno spermatozoo che racchiude in sé il
codice genetico di tutti i popoli, un arlecchino e l’arlecchino non è bianco.
Il significato si trasmette nella statua del crocefisso, un totem che sta per
diventare di carne circondato da suore assatanate, ci vuole molto tatto per
trattare la questione.”
Nerone assorto dice: “Il cazzo del poeta…” accarezza il suo
tronco e continua: “bisogna saperlo suonare…”
“Sì, ma non battere troppo forte, almeno all’inizio.”
Backstage.
Dentro il piccolo cimitero, la figura del ghetto, i
ballerini ed i suonatori si sono sparpagliati tra le tombe, su un angolo il
gruppetto con le suore circondano il lettino dov’è coricata Caterina, davanti a loro il nerone con il suo tronco,
le erbacce infestano il luogo, i loro steli contorti sono punteggiati di fiori
di tutti i colori, in mezzo l’uccello di fuoco.
“Perché siamo venuti qui?” chiede Guappo, “Questo posto è deprimente.”
Mentre le fiamme avvampano rispondo: “Lo spettacolo è già
iniziato, questa sarà la prova generale, per calarsi nella parte bisogna creare
l’atmosfera. Questa sera rappresenteremo la favola della Bella Addormentata
identificandola col mito di Euridice rinchiusa nell’inferno. Ieri ho detto che
tutte le idee sono già esposte nel mito, adesso si può aggiungere che tutte le
favole sono costruite su un unico schema e questo schema è l’apparato genitale
femminile, cioè quello che succede in natura dentro una figa.”
Nel gruppo s’alza un brusio, le suore si guardano tra loro
allibite, Nerone fa una rullata sul tronco facendo tintinnare i sonagli e
Sherlock dice: “Un’interpretazione originale la tua però mi sembra che
l’atmosfera sia piuttosto chiusa, spiegati meglio.”
“Chiusa in un buco, esatto, bisogna aprirla. L’idea è
questa, Euridice è chiusa nelle ovaie e vede i suoi ovuli dannati bruciare
nella pena, dal dolore è morta anche se solo in apparenza, la figura della
Sibilla Cumana che ha consumato il suo corpo per rinchiudersi in un vaso di
lamenti, lacrime e lagne.”
Teresa interviene: “Con questo cosa vorresti alludere?”
“Quello che ti pare. Ora state a seguire il filo, per sapere
quello che realmente succede in una figa bisognerebbe essere ginecologi, noi
invece siamo artisti quindi trasporteremo la figura su un piano di poesia,
Euridice diventa la mamma delle parole e vede metà dei suoi figli sporchi, oppure che fanno schifo o
paura, vergogna eccetera quindi, invece del bacio del principe come avviene
nella Bella Addormentata la faremo assistere ad uno spettacolo per farle vedere
invece che i suoi bambini sono tutti belli.”
Il gruppo si è fatto attento, Nerone batte una rullata in
successione ed il discorso continua: “Adesso abbiamo un pubblico che ha pagato
in anticipo quindi non dobbiamo deluderlo. All’inizio, mentre Teresa canterà la
canzone della morte di Euridice, dei ballerini preceduti dalle suore la
porteranno in processione e la poseranno sulla fontana dove prima aspettava la
poesia. A questo punto bisognerà aprire l’antro.”
Vado dalle suore e dico: “Scopriamo la figa a Caterina, deve
sentire anche lei.”
Suor Michela insorge: “È osceno, non puoi chiederci di fare
queste cose!”
“Quante volte lo hai fatto in ospedale, è una figura. Adesso
Caterina sta esprimendo quello che è l’anima femminile, sono le sue ovaie in
realtà ad essere addormentate, sono loro che vanno svegliate per farla
rinvenire, considerala una terapia qualsiasi.”
La suora rimane un attimo pensosa, guarda le altre che
ricambiano lo sguardo ancora curiose e dice: “Una terapia…in questo caso…va
bene, però lei sta dormendo, potrebbe non essere d’accordo.”
“Se guarirà non avrà nulla da lamentarsi.”
La suora insiste: “La vedranno tutti, è una vergogna!”
Dalla compagnia si leva un concerto di fischi e strilli, il
nerone batte un’altra rullata e la suora dice: “Va bene, comunque qualsiasi
cosa accada la responsabilità è tua.”
Solleva la coperta scoprendo le gambe di Caterina ed il suo
ventre fino all’ombelico.
“Anche le mutande?” chiede.
“Certo, l’antro deve essere aperto.”
Le sfila le mutande. Sotto il sedere di Caterina c’è una
tela cerata, come rimane nuda si mette a pisciare, il liquido giallo dorato dai
raggi di sole sulla scena scorre sulla tela, un lungo getto che precipita
scrosciando a terra.
“Sembra d’accordo.” Dice Guappo osservando a bocca aperta.
Tutti ridono ed il fuoco continua: “A questo punto le suore
inizieranno a recitare il rosario e Sherlock farà l’assolo di violino.”
“Cosa significa?” chiede lui stupito.
“Sarà il sacro ed il profano, nel mentre Sofia inizierà il
motivo conduttore della musica, saranno ancora le onde del mare ma in questo
caso dovranno rappresentare una scopata, le onde del cazzo nella figa, le onde
del mare che si frangono nelle insenatura della costa ogni volta penetrandole
ed uscendo, andremo in accelerazione fino alla sborrata.” Mi avvicino al nerone
e dico: “Sull’assolo usa solo le mani, un ritmo lento molto soft, ancora le
onde, cerca di seguire il violino nel suo crescendo ma senza esagerare.”
Sherlock interviene: “Dovrei improvvisare su questa base?”
“Sì, immagina di essere sulla riva del mare, il ritmo delle
onde…lasciati andare alla tempesta.” Rivolto alle suore continuo: “Anche voi,
il rosario, invece di pensare ad altro come fate di solito metteteci la musica,
dovrete fare da contrappunto alle percussioni come se cantaste, delle onde,
prima piano poi salite di volume poi di nuovo piano, improvvisate… sul finire
dell’assolo interverranno anche le altre percussioni alzando le onde al
seguito.”
Le suore si sono arrossate, mentre mormorano tra loro
Sherlock dice: “Un improvvisazione, l’idea mi piace ma non so se sarò in grado
di farla.”
“In tal caso saranno uova marce, la tua è paura, ti
sottovaluti, bisogna salire nell’ottava dei suoni puri, il fiume dalla sorgente
al mare, dove l’acqua scorre libera e dove screzia contro le rocce, gonfierai
piano piano, le svolte, le rapide, le cascate, mettici del tuo, bisogna
annullarsi nella musica! Entrerei nel mare con tutta la foga di cui sei
capace.”
Sherlock guardando la
figura esclama: “Farò del mio meglio!”
“A questo punto tutta l’orchestra si metterà a suonare, il
tema e lo stesso di ieri solo che invece del volo dei gabbiani e del vento
bisognerà esprimere il piacere sessuale, sono altri voli ma comunque…”
“Abbiamo capito benissimo…” gridano molti dalla parte dei
musicisti.
Continuo: “Inizieremo con una canzone, ho reinterpretato
quella di Bacco ed Arianna a modo mio, ci vuole uno che la canti che abbia la
voce maschia.”
Guappo dice: “La potrei cantare io, come faccio di solito.”
“Tu devi fare il balletto.”
“Allora c’è Gennarì, lui ha una bella voce.”
Uno dei chitarristi viene fuori, gli passo il testo dicendo
di leggerlo a voce alta. Lui lo legge ed alla fine, tra gli schiamazzi e gli
applausi della compagnia dice: “Tu devi essere pazzo, come la canto se non c’è
la musica.”
“Avete tutto il pomeriggio per adattarla, ho usato una
metrica lineare ascoltando la musica del mare quindi non avrete difficoltà,
anche il coro, lo farete tutti, usate tonalità diverse, devono sembrare accordi
musicali, come vi frulla.”
Il chitarrista rientra con il testo e continuo: “Con la
canzone inizierà il balletto. I ballerini si disporranno in due cerchi, i
maschi dietro e le femmine davanti, girerete lentamente gli uni al contrario
degli altri al passo ondulante della tarantella ed i maschi alzeranno le
femmine anticipandone il passo al ritmo, come avete fatto ieri. Le ballerine
agiteranno i sonagli e continueranno a strillare come…”
Una grida: “Perché non ce la lecchi veramente, lo faremmo
meglio!”
Tutte strillano eccitate ed al chetare dell’ovazione vado
avanti: “Dovete essere tutti étoile, fluidi, naturali, non come in quei balletti di ricchioni alla
tv dove si vedono Bolle e la Semionova che palleggiano un pallone invisibile e
gli altri che corrono su e giù chiamando palla, sarete ninfe e fauni che si
divertono, dev’essere un gioco ma anche questo va visto su un ottava superiore,
il gesto, l’arte, la poesia del corpo. Nel mezzo Guappo e Bastarda disegneranno
le figure di una bella scopata.”
I due si fanno avanti e la Bastarda chiede: “Cosa dobbiamo
fare?”
“Un’improvvisazione, dev’essere eccitante, molto aggraziata
e nello stesso tempo selvaggia,
inseguimenti, poi prese, vi avvinghiate piroettando in tondo, poi per
aria, gli stringi le gambe intorno al culo e mentre lui ti fotte tu ti lasci
andare eseguendo ondulazioni col corpo e con le braccia, le posizioni variano
ogni volta, fate anche un sessantanove se vi viene, tu con le gambe per aria
che sgambettano mentre lui…lo sapete com’è, metteteci del vostro, comunque alla
fine della canzone si deve capire che è avvenuta la sborrata.”
La Bastarda arrossisce e sbuffa: “Per essere il primo
balletto che faccio mi sembra…”
Non trova la parola e Guappo dice: “Dai, vedrai che ci viene
bene.”
“Va be’…” continua lei poco convinta, “proverò.”
Suor Michela salta fuori e con voce semindignata chiede:
“Noi che facciamo nel frattempo?”
In quel momento Caterina sul lettino si muove ed il suo
sedere emette una lunga scoreggia sciacquettata, al sopire, mentre le suore si
guardano imbarazzate, rispondo: “Guarderete lo spettacolo e se vi viene potete
unirvi agli strilli delle ballerine.”
“Questo poi…” borbotta lei ritirandosi dentro la tonaca.
Rivolto a Sherlock: “Tu ti puoi inserire negli assoli
dell’orchestra ma a quel punto ti verrà del tutto naturale.”
Lui assente ormai senza più parole e continuo: “Finita la
canzone il ritmo accelera, Guappo ed i
ballerini si ritirano e resterà solo Bastarda, dovrai fare un assolo sulle
punte che figuri la gravidanza, ruota e gonfia, fallo vedere con la gestualità
e poi ti metterai a fare le uova.”
“Come sarebbe fare le uova?” strilla lei.
“La musica accelera, tu starai a gambe aperte sulle punte
ondeggiando, le braccia che ruotano, le mani che disegnano nell’aria come se
dipingessero e Guappo ed i ballerini torneranno, scivoleranno raggomitolati come
uova da sotto ed ai fianchi delle tue gambe e si disporranno rotolando intorno
a te, quindi…”
L’atomica
americana.
Back stage al tavolo della Mona prima dello spettacolo, c’è
lei, Macaco e l’uccello, le due contadinelle sono nel balletto a curiosare, la
grassona per il momento non si vede.
Mona si è seduta in mezzo, ha i capelli che odorano di
fritto ma nel compenso è sempre eccitante.
Macaco inizia dicendo: “Una bella idea però…prima hai
criticato i balletti da stadio dei ricchioni e poi hai messo delle palle a
rotolare, mi sembra una ripetizione.”
“È vero, ci deve essere un nesso che ha origine
nell’antichità del mito ma in questo caso ho interpretato lo schema
dell’apparato genitale femminile e le ovaie fanno rotolar fuori gli ovuli
prodotti. I palloni da stadio invece…hai mai visto i piccioni come fanno quando
gli butti un tozzo di pane? Se lo contendono facendolo saltare da tutte le
parti, proprio come fanno i calciatori allo stadio e i ballerini ricchioni.
Sono due figure distinte che comunque presentano delle attinenze.”
Mona ribatte: “A Napoli lo stadio è come andare in chiesa,
han tutti la testa nel pallone, i calciatori sono molto importanti, fanno il
bello ed il cattivo tempo.”
Macaco continua: “Così nella figura si potrebbero vedere dei
calciatori che prendono a calci le uova ogni volta che vengono tirate in
campo.”
Mona: “Può essere, certi sono molto belli, a volte me li
sento proprio lì che tirano calci e testate.”
Dopo aver bevuto un sorso di vino dico: “Abbiamo centrato
l’argomento, riguardo i calciatori la figura più interessante è quella dei
piccioni, un comportamento naturale che deve avere la sua origine ai tempi che
gli uomini non parlavano ancora, cioè ai tempi dei cannibali. In Giappone si
vede bene.”
Macaco svuota il bicchiere, guarda la figura e ribatte: “In
Giappone il calcio è uno sport recente, forse ho capito cosa intendi, le teste
nel pallone e le usanze dei samurai, anche quelle rotolavano se volevano
rinascere, come ha fatto Mishima, delle specie di uova.”
Continuo: “Nel prossimo balletto non voglio fare concorrenza
a Maradona ed alla bela Rosin quindi la figura va esaminata con calma. Nel mito
si vede la testa di Orfeo, dopo essere stato sbranato dalle baccanti, rotolare
fino al santuario di Lesbo, che nella nostra storia è l’antro della Sibilla di
Cuma quindi la sede delle ovaie e li si mette a profetizzare.”
“Un pallone parlante.” sbotta Mona, “nella figa”.
Macaco: “In ogni caso Mishima continua a parlare nei suoi
libri però abbiamo visto che il poeta non è la poesia quindi…”
“Proprio così, hai detto bene, tutto quello che so della
poesia del Giappone lo ho appreso da lui, se si astrae la poesia dal poeta si
può vedere quel che c’era prima. Quella figura della donna che riempie il
calice con il latte del suo seno e poi lo dà a bere al soldato che parte in
guerra è stupenda, poi diventa una puttana degli americani, come madama
Butterfly ed il bonzo la insulta, come fa Mishima.”
“Storie che si ripetono.” continua Macaco, “però in questo caso mi sento d’accordo con
il bonzo, il Giappone è diventato la puttana degli americani.”
“All’apparenza, l’America ha bisogno dell’inferiorità del
Giappone per apparire superiore ed in questo fa grandi leccate di culo.
Comunque non ha importanza, a guardare la realtà dovreste ringraziarli per aver
raso al suolo il Giappone nell’ultima guerra e pregarli di fare altrettanto
perché…”
Macaco mi interrompe: “Non dire altro, come si risolvono i problemi
demografici in questo mondo non è affar nostro, noi ci dobbiamo limitare alla
poesia però nelle figure hai fatto intendere che le bombe atomiche di Nagasaki
ed Hiroshima non sono certe e non l’hai dimostrato.”
“Questo perché sei un somaro e non hai seguito le figure,
con la suora parlo di un male mortale che non uccide, solo una paura che
comunque sporca i Giapponesi. La probabilità non si può accertare perché bombe
atomiche prima non ne avevano mai tirate e non ci sono dati da confrontare però
bisogna calcolare che poi lì ci dovevano vivere anche quelli che le avevano
tirate e che la storia si vede ripetersi, prima con gli incidenti alla centrale
nucleare e poi con gli esperimenti nella Corea del nord, solo paure che nei
fatti non risolvono nulla. Questa paura è trasmessa da secoli, se da una parte
tende a tener tranquille le tigri giapponesi da un'altra può essere un indizio
per capire quel che successe in Giappone prima del diluvio. Forse anche allora
si trattò di una menzogna. Comunque una bomba atomica americana in Giappone c’è
e questa…piacerebbe anche a me farla esplodere sui coglioni dopo una settimana
di sesso sfrenato, in ogni caso deve essere collegata a quella prima volta.”
Macaco assorto continua: “Una bomba atomica americana che mi
piacerebbe far esplodere sui coglioni? Può essere solo Gwen Stefani, alludi a
lei?” rimane qualche secondo assorto e aggiunge: “La puttana degli
americani…può essere.”
“La figura di Gwen è molto interessante. Della sua vita
privata non ci deve interessare nulla, probabilmente sotto l’esteriorità chissà
cosa nasconde, solo la figura. Per collegarla alle altre bisogna vedere come la
testa di Orfeo rotoli dall’antro della sibilla al Giappone per profetizzare
dalla bocca di Mishima. Il cammino della poesia e della musica sullo schema del
dottor Faust e del patto col diavolo che lei introduce in Giappone. Per
calcolare la mentalità delle americane o delle russe bisogna mettersi al
livello di bambine dell’asilo.”
“Altri burattini…questo significa il rock americano di Manson.
Però lei non è così scatenata, sembra una bambola, un adorabile bambola…” dice
Macaco disegnando con la mano un kami erotico nell’aria.
Mona interviene: “La stai leccando, quando pianterai il
pugnale?”
“Le pianterei altro che un pugnale. Gwen ha la figura di una
sarta, quindi di Aracne e della sua tela,un patchwork, come si dice in inglese.
Il suo nome ha in sé quello di Steve Ray Vaughan che in Giappone è ridondato da
un’altra attrice, forse il più bravo chitarrista bianco che abbia avuto gli
Stati Uniti, un texano, un'altra terra di minatori resi neri dal petrolio.”
Macaco continua: “Mi fai ricordare la giovinezza, anche Jimi
Hendrix, hanno molti punti in comune nella loro musica.”
“È vero, il ritmo
africano di Hendrix però mi piaceva di più, questo riguarda il mio gusto mentre
Vaughan si trascinava dietro il country, era più tranquillo, tutti e due
avevano un basso ed una batteria e poi suonavano contrappuntando gli assoli
alle parole, era un piacere ascoltarli. I collegamenti sono con il rock inglese
dei Deep Purple, Child in time, hanno fatto il concerto anche in Giappone, il
bambino nel tempo. Questo prima era Eros, il dio dell’amore figlio di Venere
poi diventa la testa rotolante di Orfeo quindi l’ebreo errante, il Giovanni
evangelista che non moriva mai e la testa del Battista fatta tagliare da Salomè
quindi il don Giovanni di Mozart che sprofonda all’inferno come fa Cristo per
tirare fuori la mentalità degli ebrei morti e dal Child in Time si trasferisce
nel Woo Doo Child di Hendrix che viene ripreso da Vaughan ed il Woo Doo anima i
morti, bambole animate, degli zombie. Gwen Stefani e il nome di Steve Vaughan
si fondono nel patchwork quindi zombie ermafroditi.”
Macaco continua: “Bisogna saltare come i canguri comunque le
figure sono quelle, questo significa che il Giappone ha la forma di una bambola
morta ermafrodita e la cosa potrebbe collegarsi a Michico, tutte e due han
fatto figli come scrofe rimando vergini…almeno all’apparenza. Si vede un’altra
Izanami da ripescare però con questa non so se scapperei…”
“Senza pietà. La figura si collega al balletto di stasera
dove ho messo le uova rotolare intorno alle ovaie, in questo caso si vedono le
Harajuku girls rotolare ed inchinarsi di fronte all’atomica americana, con
quello che guadagna il Giappone dal mercato americano si può capire, potrebbero
essere inchini ipocriti, comunque…”
Macaco, assorto nella figura, dice: “Una figura emblematica
che rispecchia la realtà e potrebbe essere una menzogna però i giapponesi si
inchinano all’imperatore, come la mettiamo?”
“Un altro tema trattato, quello che fanno i giapponesi non è
affar nostro, questo riguarda solo gli artisti. Bisognerebbe esserci, così a
naso da quel che si guarda su internet il mondo dello spettacolo, sia maschio
che femmina, è pieno di ricchioni che si atteggiano ai manga ed agli anima,
inoltre la moda delle Harajuku tende sempre a rivestire delle bambole, si vede
una negazione del corpo e posso capirlo, le giapponesi sono tutte ossute, stitiche,
piatte, sembrano stampate una sull’altra.”
Macaco ribatte: “Delle scimmie, bisognerebbe mettere degli
appoggi nelle strade, così potrebbero anche fare salti e giravolte…comunque
abbiamo messo in luce la bambola morta e le uova che le rotolano intorno, altre
bambole morte, una figura che non mi piace.”
“La figura è perfetta, i giapponesi che ballano intorno alla
cuccagna americana non va cambiata di una virgola, è solo da rileggere. Il
problema è nominale, Gwen è rivestita dalla credenza dei morti del rock
americano, ha anche altri problemi ma una volta messa a nudo…”
“Pum!” esclama Macaco,
“sul furore dello tsu nami, tutto il kamasutra ed anche di nuove! Questo
però la esclude dal Giappone perché quei morti non sono nostri, in questo caso
si vedono rotolare le teste dei samurai suicidati e quella di Orfeo che si
collega a Mishima, trattandosi di teste potrebbe essere una mentalità che
comunque ci collega all’Europa.”
“Bisogna guardare da tutte e due le parti ragionando con la
propria testa e non con quella di bambini dell’asilo, le uova credono solo di essere
quei morti ma se si toglie il peso alle parole ritornano quelle che sono. Si
vede la stitichezza, questo è un altro problema che va affrontato alla causa.”
Macaco continua: “Il totem, potrebbe essere ancora Michico,
è stitica come un’acciuga seccata al sole.”
“Michico potrebbe nascondere un tesoro ma nel buco dove si è
seppellita non è facile da ripescare, ho in programma una figura che la lascerà
a bocca aperta.”
“Ci devo entrare anch’io?”
“Mi devi aiutare perché si tratta di un argomento molto abbondante.
Nella realtà si vede che i dottori ed anche le suore e gli infermieri sono
superiori ai poeti. Loro, ad esempio, non si fanno nessun problema a ripulire
un culo sporco di merda mentre i poeti sono limitati dal giudizio delle parole
e questa è la causa. Bisogna superarli.”
Il quel momento la vecchia grassona esce dall’albero e si
avvicina al tavolo.
Nell’involucro
dell’idea si sente schiacciare un guscio di noce, nel mentre Mona dice:
“Carlotta vorrebbe fare la pace, non lo sapeva che c’era la passatella, dopo
quello che ti ha detto non sa come fare.”
“Perché dovrei prendermela?” chiedo, guardando ridendo la
grassona.
Lei, con una luce tra l’orgoglioso ed il timido negli occhi,
parlando in italiano con un forte accento campano dice: “Però il calcio in culo
non lo voglio, se avessi saputo…la prossima volta, se mi offendo ancora.”
“Va bene, niente penitenza, si sieda…anzi, diamoci del tu,
siediti con noi.” Rivolto a Mona: “Ci vorrebbe qualcosa di frizzante, ce l’hai
un vino che faccia le bollicine?”
“Sì, lo vado a prendere.”
Carlotta si siede, mi guarda e dice: “Sono imbarazzata, con
voi del nord non si sa mai come fare, parlate diverso.”
“Non ti preoccupare, mia madre era una contadina piemontese
ed era grassa come te, a Torino faceva la serva per i terroni, considerami uno
di famiglia…”
Lei mi guarda incredula e ribatte: “Lo dici così…non ti
vergogni?”
“Di chi dovrei vergognarmi? ci sono solo cani e porci in
giro…”
Lei ride e continua: “Ah be’, in tal caso…allora sei proprio
tu, tua madre era di Mombercelli?”
“Come fai a saperlo?”
“Avevo una zia che ha sposato uno di Mombercelli ed era
andata a stare lì, ero andata a trovarla, ti ho visto tante volte quando andavi
in piazza ma tu non mi guardavi, non ero sicura perché son passati quarant’anni
e sembri ancora uguale.”
Arriva Mona con la bottiglia, la stappa poi versa il vino
spumeggiante nei calici. Per qualche secondo la musica dello sfrigolio delle
bollicine suona effervescentando l’aria e Mona chiede: “Allora, avete fatto la
pace?”
Carlotta risponde accalorata: “Sì, ci conosciamo, tu non
sai…sua madre era di Mombercelli, dov’è andata mia zia…lui era…andava in moto
per le vigne dove voleva, di notte accendeva i fuochi, aveva sempre una donna
diversa e gli amici, sempre ubriachi, ballavano, raccontava poesie, andava in
casa di tutti come fosse la sua…mia zia diceva che era il diavolo, gli altri
borbottavano ma nessuno gli diceva niente.”
“Altri tempi…” dico,
“sono loro che mi hanno abituato così fin da bambino, mi veniva
naturale.” Facciamo un brindisi e continuo: “Ho conosciuto una lì che parlava
napoletano, in mezzo al piemontese stonava come una campana fessa.”
“Lo so, ” ribatte lei,
“anch’io, mi sarebbe piaciuto conoscerti ma non mi osavo…adesso ho
sessantacinque anni ma allora…”
“Altri tempi…è un peccato che quel mondo stia scomparendo,
ho solo qualche vago ricordo di quando ero molto piccolo, le danze nell’aia
con la fisarmonica, le canzoni e le
storie che si raccontavano quando si sgranocchiava il granoturco tutti insieme,
le feste dopo le vendemmie. Piano piano si è trasformato in un ospizio per
poveri vecchi, lamenti, lacrime, lagne…”
Carlotta continua: “Sì, anche qui…i contadini son diventati
vecchi pieni di medicine ed i giovani si vergognano, vogliono fare tutti i
dottori e le vigne stanno scomparendo. Quando ero bambina avevo sempre voglia
di ballare, anche di me dicevano che ero un diavolo, la tarantella la ballavamo
nei cortili, non era come adesso, c’era il fuoco, sembrava di volare.”
Mona dice: “Anche i miei nonni erano contadini, storie così
me le hanno raccontate ma non le ho mai viste, sono legata alla campagna ma
sono anche contenta di esserne uscita, sembra proprio una cosa che sta
morendo.”
Riempio i bicchieri per un nuovo giro e ribatto palla:
“Bacco era il dio dell’uva, la tarantella deve seguire i riti e le tradizioni
del mondo contadino, doveva essere un altro mondo che poi segue la maledizione
di Caino e la vergogna che contrassegna i figli dei contadini.”
Macaco chiama palla e respinge di testa: “In Giappone
vigneti ce ne sono pochi comunque anche lì il mondo contadino è una realtà che
sta scomparendo.”
Ricevo la palla e palleggiandola di piede continuo: “Però la
vergogna si è trasferita sul libro degli eta, un confronto utile per leggere la
figura. Dopo la crocefissione dei cristiani i samurai diventano una casta
ereditaria mentre prima erano scelti dai contadini, doveva essere un altro
mondo dove i contadini rappresentavano la classe sociale dominante, poi…le
informazioni sono prese dai libri e non si può essere certi ma comunque si
vedono i samurai tagliare le teste ai contadini al minimo accenno di
ribellione.”
Passo la palla, Macaco la riceve di petto e palleggiandola
sui ginocchi dice: “Altre teste che rotolano che si collegano ai samurai
suicidati, chissà com’era il Giappone a quei tempi.”
Rinvia e stoppo di piede, poi tenendo la palla in surplace
continuo: “Comunque sia si vede che in tutto il mondo ad un certo punto i
contadini vengono schiavizzati, una mentalità che si vergogna, seguendo le
figure si vede che questa mentalità è trasmessa dai muzic russi che vengono
impiantati in Europa dopo lo sterminio di Attila, qualcosa del genere deve
essere successa anche in Giappone, quei primi contadini vennero sterminati
tutti o fatti schiavi e poi si ricrearono con quella mentalità sottomessa. Ogni
porcaro ha i suoi metodi, se si risale all’origine dei muzic russi, al nucleo
che poi venne fatto crescere e tramandato si vede ancora una comunità di
contadini dediti al canto al ballo ed alla musica, quindi potrebbe essere stato
un ritorno condizionato dalla schiavitù e quei primi contadini sono ancora vivi
sotto questa mentalità.”
Rimando la palla, Macaco la stoppa coi coglioni e
leggermente arrossato, palleggiandola di testa dice: “Imbarazzante, questa
storia degli eta tiene sepolte le migliori menti del Giappone, sembrano altre
teste che rotolano riprese e palleggiate dai nuovi samurai che prendono forma
dalla loro negazione.”
Tira col sinistro, riprendo col destro e facendo girare la
palla sul naso continuo: “Questo mondo è perfetto così com’è, va solo al
contrario. Tralasciando i temi già trattati deve essere successo qualcosa che
tradì quei contadini aprendo le porte al massacro di Attila. Si vedono le
medicine e poi le lacrime, cioè la pietà. Ricordo che da bambino una volta mia
nonna incapponò un gallo davanti a me, quei primi contadini non dovevano
conoscere pietà, quindi ci fu qualcuno che introdusse a tradimento la pietà, un
cavallo di Troia e questa fu la causa del loro sterminio.”
“Le lacrime della attrici…” dice Mona rinviando di testa a
Macaco che ribatte girandosi acrobaticamente col tacco del sinistro: “Anche
l’atomica americana e Babbo Natale, le lacrime per i bambini poveri che
diventano sempre più poveri mentre loro diventano sempre più ricchi, è una cosa
che non si capisce che si vede realizzare in un’esplosione demografica e la
causa è la figura di un cappone che poi viene crocefisso.”
Prendo la palla di petto e facendola rimbalzare sulle spalle
rotolandola sulla testa proseguo: “Questo se si ragiona col culo, comunque non
sono affari nostri.” Tiro la palla alla grassona e dico: “Chissà che ballerina
dovevi essere da giovane.”
Lei la placca con le mani e indecisa a chi rinviarla
ribatte: “Cosa mi fai pensare, allora…chissà dov’è finita quella lì, ormai è
morta, adesso…quando vedo ballare mi piacerebbe ancora ma che figura farei?”
Tira e stoppando di pancia coi muscoli tesi per poi
palleggiare di coglioni a gambe larghe facendo rimbalzare la palla a terra
dico: “Il tempo, il grasso che ti avvolge, se vuoi conosco un sistema per
andare a vedere se quella ballerina è ancora viva però ti devi lasciare andare
e fare tutto quello che dico senza pensare.”
Macaco prende la palla al volo e aggiunge: “Ci siamo, chissà
cosa mi farai fare questa volta.”
La rimanda e bloccandola con le mani senza più rinvio chiedo
a Carlotta: “Allora ci stai?”
“Cosa devo fare?”
Mona dice: “Ho capito, ne tira fuori un’altra delle sue, tu
non ti preoccupare, lascialo fare tanto sono solo parole, non è una cosa che
succede veramente.”
Carlotta: “Ve be’…se può servire a ritrovare quella
ballerina…a me sembra morta per sempre ma…”
Rivolto a Mona: “Ce l’hai una peretta per i cristeri?”
“Dovrei averla, a cosa ti serve?”
“Valla a prendere.”
Mentre Mona si alza dico alla grassona: “Sali sul tavolo
ginocchioni qui davanti a me, le hai mai fatte le pecorine?”
Carlotta risponde arrossendo: “Tu devi essere pazzo, cosa
vuoi farmi fare alla mia età.”
“Senza pensare.”
“Son solo parole, va be’…però aiutami, grassa come sono come
faccio…”
Insieme a Macaco l’aiutiamo a salire sul tavolo sistemandola
alla pecorina col culo davanti a noi.
Cammina veloce uomo
Mentre con gli occhi guardi l’intorno
Alla ricerca di qualcosa di vivo.
Freddo e paura ora soffri
Potrà amore ricompensare?
“Sei diventato nostalgico?” chiede Macaco.
“Chi lo sa? È la strofa d’inizio della canzone che avevo
scritto su Orfeo, quando lui entra nell’inferno che si era creato alla ricerca
di Euridice, ricordo solo quella. Sull’argomento non ci sono riferimenti a
parte qualche accenno nei libri del marchese De Sade, bisognerà inventare di
sana pianta.”
Macaco solleva la mano col calice mezzo pieno e declama:
“Il profumo del fuoco che brucia i sogni
brezza d’amore che scorre sulla lingua
Per ardere al vento dell’illusione…”
Svuota il calice, lo frantuma a terra e aggiunge: “Son solo
parole.”
Carlotta sbuffa: “Cosa fate i poeti? sto scomoda qui, fate
presto.”
Torna Mona, si siede e posa la peretta sul tavolo. Dice:
“L’avete sistemata? Già m’immagino quello che vuoi fare.”
Guardo Macaco e chiedo: “Partiamo?”
“Via!”
Le solleviamo la gonna, le gambe sono larghe e flaccide
percorse da onde di grasso che cadono una sull’altra, macchie pelose e vene
varicose gonfie come tubi dell’acquedotto, le mutande grosse da uomo di lanetta
solcate nella linea del culo. Le sfiliamo uno per parte facendole scendere alle
ginocchia. Un culo stratosferico, tutto borse e avvallamenti, l’ano ricoperto
da una selva di peli grigi ed arruffati che si infittisce curvando sulla figa.
Il profumo è ancora contenuto, come quando si apre un pozzo nero prima di
rimestare.
“A me sa che mi stai prendendo per il culo.” borbotta
Carlotta.
“Quando creo non voglio essere disturbato!” esclamo, poi le allargo le chiappe. Con le dita
frughiamo tra i peli per scoprire l’ano, a tatto si sentono molte incrostazioni
ed il gonfiore di due grosse pustole gonfie di pus, una enorme.
Macaco declama: “Che meraviglia, mai visto nulla di più
appetitoso! Ricorda i banchetti delle tigri al tavolo di scrittura, il pennello
che colora l’appetito agli occhi, chi si prende la più grossa?”
“Tiriamo a sorte, facciamo pari e dispari.”
“Pari!” “Dispari!” “Bim bum bam!”
“Pari, ho vinto!” Esulta Macaco.
Si alza, apre le chiappe con le mani poi addenta il
pustolone facendolo scoppiare tra i denti, succhia il contenuto e rimane
qualche secondo a leccare il sangue acquoso che esce. Si risiede e estasiato
dice: “Un gusto delicato, prezioso, lo sto ancora tenendo sulla lingua per
centellinare l’aroma…”
Carlotta sbotta: “Ho sentito un pizzico, cosa mi state
facendo?”
Mona risponde: “Cosa vuoi aver sentito? Dopo quello che ha
leccato a me…son solo parole.”
Carlotta: “Va be’… allora continuo a far finta di niente.”
Apro le chiappe a mia volta e dico: “Mi prendo quello
piccolo ma poi a grattare voglio la parte migliore.” Addento il pustolone e lo
schiaccio, il pus mi schizza in bocca imbrattandomi la lingua ed il palato,
succhio bene premendo coi denti e poi la sorpresa…sotto c’è una sacca di sangue
grumoso che esce fuori a polla, lo lecco avidamente fino all’ultima goccia e
torno a sedermi.”
“Non vale!” Sbotta Macaco,
“nel tuo ce n’era di più.”
“Abbiamo tirato a sorte, non lamentarti.”
Grattiamo intorno all’ano per metterlo alla luce, c’è un
anello di incrostazioni spesso un dito, facciamo cadere le scaglie staccate sul
palmo della mano poi le guardiamo pesandone la grossezza. Sono biancastre con
chiazze marroncine, raggrumate coi peli, un profumo d’altro mondo.”
“Tu ne hai di più.” dice Macaco
“Mi sembra giusto, tu ti sei preso il pustolone.”
Dopo averne assaggiata una ed averla fatta sciogliere in
bocca Macaco declama: “Delizioso, la fragranza di un petalo di loto affogato in
una pozzanghera di piscio di cane, dolce e amaro, proprio come piace a me!”
Assaggio a mia volta, con la lingua faccio scorrere la
scaglia sul palato raccogliendo le gocce di pus superstiti, aspetto che si
fonda lentamente poi ingoio e esclamo: “Ah!…sembra d’essere in paradiso, come
la prima volta che ho fatto la comunione, non mi decidevo a mandarlo giù da
tanto era prezioso, un gusto così è ineguagliabile.”
Macaco: “Quando torno in Giappone voglio aprire un
ristorante solo di queste delicatezze…”
Con religiosa deferenza svuotiamo i palmi leccandoli ben bene
per non lasciare neppure una briciolina quindi passiamo all’ano che adesso è completamente scoperto. Un bubbone di carne
scuro e flaccido, molto grinzoso, percorso da creste zeppe di piccole verruche
callose. Dopo averlo osservato attentamente ed annusato dico: “Peccato che non
ci siano emorroidi, sai che cuccagna sarebbe stata…mi sa che l’autore è
diventato pigro.”
“Non sei mai contento…” continua Macaco, “un culo così non l’avevo mai visto, non
sapevo neppure che esistesse, nella vita non si finisce mai di imparare.
Guarda, c’è un grumo di cacca secca in quell’incavo, lo tiriamo di nuovo a sorte?”
“Se lo vuoi prendilo tu però il resto lo lecco io.”
“Mi sa che mi vuoi fregare, ti prendi sempre le parti
migliori, vada per il grumo ma poi voglio scegliere per primo.”
Stacca il pezzetto di cacca e se lo mette in bocca, lo fa
scricchiolare sotto i denti ed esclama: “Veramente saporito, neanche nella
cucina cinese si trovano simili sapori…”
“Ora tocca a me.”
Mi alzo, apro bene le chiappe affondando le mani nel grasso
molliccio ed inizio a leccare l’ano. La lingua incontra una resistenza, come
passarla sulla raspa di un falegname o su una grattugia, lo insalivo bene per
ammorbidirlo e continuo a leccare staccando tutti i residui che ci sono
appiccicati. Con la punta della lingua cerco di farmi strada come fanno i
lombrichi quando scavano nella terra e lo apro allargandolo più che si può. Dal
buco esce un filo d’odore invisibile che si attorciglia a spirale penetrandomi
le narici.
Dico, declamando le parole: “Mai fiore venne creato con un
profumo così dolce, mai farfalla si posò su tale nettare…il buono lo dobbiamo
ancora tirar fuori, aiutami.”
Infiliamo un dito per uno nel culo ed iniziamo a pompare
dentro, dall’ano esce un liquido color senape dall’aroma molto intenso, le
pareti si allargano, si sente un sibilo, leviamo le dita in fretta ed esce una
raffica di scoreggioni da far invidia ad un trombone, ci mettiamo tutti e due
davanti annusando da golosi intenditori ed al sopire del getto, leccandosi il
dito, coi capelli tirati indietro per il vento, Macaco declama con enfasi:
“Poesia,
vento del sogno che sgorga dall’anima,
essenza dell’essere che
parla dal cuore…
la tua voce ho sentito…
ora nulla più importa di questo o di quello…”
“Sei un poeta nato.”
Lui, sogghignando, fa un rutto e ribatte: “L’ho sempre
sostenuto, mi mancava solo lo stimolo per aprirmi alla realtà.”
Carlotta si scuote facendo sobbalzare le trippe, con voce
stupefatta dice: “Non penso, non voglio pensare, se no…a me sembra che siete
matti.”
Mona interviene: “Questi son poeti, vengono da un altro
mondo…sembra una cosa ma forse comincio a capire, son le parole che non si
dicono, che si tengono dentro…”
“Silenzio, non si disturba il genio quando crea!”
Prendo la peretta, la riempio pompando il vino frizzante dal
calice e la infilo nel buco della grassona. Svuotando il contenuto dentro dico
a Macaco: “Preparati, stai pronto quanto esce, prendi quella caraffa vuota, ora
comincia la festa, l’abbondanza, s’apre la diga che conteneva il mare della
fertilità, si scioglie il nodo che legava l’essere e il non essere, s’apre la
porta della verità…”
Svuoto il contenuto della peretta poi incollo le labbra
all’ano di Carlotta soffiandoci dentro per aumentare l’effetto quindi la scuoto
muovendole i lombi per agitarne l’interiora. Dopo qualche secondo, preceduto da
sibili ovattati che mi umettano la faccia esce un lungo schizzo di caghetta
effervescente. Macaco pronto la fa versare nella caraffa senza perderne una
goccia, il colore del cioccolato al gianduia con macchie pepate di zafferano e
gorghi vischiosi con bolle che scoppiettano venendo a galla. Dopo aver leccato
un po’ per uno il culo imbrattato ripulendolo bene ci riempiamo due calici.
Osservando il perlage e la spuma che si alzano chiedo a Mona: “Ne vuoi anche
tu?”
Lei ride e risponde: “Cosa vuoi darmi a bere? non sprecare
parole che poi ti mancano.”
“Non sai quello che ti perdi…”
Dopo un cin cin ci scoliamo i calici ripulendoli col dito,
ruttiamo e Macaco dice: “Dopo questo non ci sarà più nulla che possa
impressionarmi, sono pronto a qualsiasi sfida.”
Per disilluderlo vomito un po’ della caghetta nel calice e
glielo passo: “Assaggia questo, digerito da me è un'altra cosa.”
“In tal caso non posso non ricambiare la cortesia.” Vomita
un po’ del suo e ci passiamo i calici, dopo averli osservati al controluce
della lampadina li scoliamo alla russa fracassando i vuoti a terra.
“Prosit!” esclama lui ruttando.
“La poesia giapponese mi sembra un po’ stitica.” Gli dico,
assaporando il retrogusto del suo vomito.”
“La tua in compenso è anche troppo acida…fa proprio schifo.”
ribatte lui ridendo.
“Questione di gusti, il contrasto allarga lo spazio e le
possibilità alla creazione, sta a vedere.”
La grassona si è messa a tremolare facendo sobbalzare le
trippe in tutto il corpo, ha chiuso gli occhi posando la testa sul tavolo ed
alzando il culo, il sue ventre sembra allungarsi in un lungo tubo, l’ano le si
spalanca a dismisura, si cominciano a vedere delle fiammate uscire insieme a
scoregge rabbiose, poi nell’aria si sente pronunciare invisibile il count down
da Cape Canaveral, arrivati allo zero esce una lunga lingua di fuoco, subito
dopo un esplosione che fa tremare tutto e viene fuori un lungo missile di merda
che s’alza verso il cielo scoppiando sul mondo in una fantasmagorica pioggia di
caghetta fiammeggiante.
Il balletto ha inizio.
La
bella addormentata.
Sono le nove di sera, i minatori hanno sistemato quattro
potenti fari, due per parte, sui tetti delle case più alte ai margini per
illuminare l’arena, altri fari disposti all’esterno intorno al villaggio sono
puntati verso il cielo, le luci hanno colori iridati e vagano nell’aria in
un’apparente disordine per incontrarsi ogni tanto al centro dove proiettano
fasci di arcobaleni da tutte le parti. A prima vista sembra un apparato antiaereo
in attesa del bombardamento, infatti sul
momento, a trecento metri dal suolo, passano tre caccia Apaches dell’aviazione
americana in formazione a cuneo con un rombo di tuono, compiono un giro di
perlustrazione sopra il villaggio con tutte le luci accese e si allontanano in
direzione di Napoli, subito dopo arriva un elicottero dei carabinieri, si
sofferma per un minuto a guardare tra i fasci di luce che gli girano intorno e
anche questo se ne va.
Sul soffitto dell’arena la notte è accesa di stelle grandi e
piccole, tutte pulsano tremolanti in attesa. Le finestre del villaggio per il
momento sono socchiuse, i suonatori sono disposti ad arco di fronte alla pista
per il balletto, sul sopire cadenzato delle pale dell’elicottero che si
allontana si sentono tocchi di chitarra, battiti di tamburo, qualche colpo di
tosse, poi silenzio.
Il corteo della processione è in attesa fuori dal villaggio
sulla strada che arriva dal cimitero, i ballerini sono vestiti di piume dai più
svariati colori, le femmine con tuniche corte a mezza coscia dal petto scoperto
in scollacciati decolleté oppure aperti in diagonale con un seno fuori ed anche
con corpetti che cadono a ricoprire i seni e succinte minigonne, i maschi a
torso scoperto, braghe attillate sopra il ginocchio o bande simili a gonnellini
che coprono appena i genitali, tutti hanno penne multicolori intrecciate tra i
capelli e calzano mocassini di pelle morbida da pellerossa americani.
La bella addormentata è coricata su una portantina vestita
da madonna, il capo coperto, sorretta sulle spalle da quattro ballerini, davanti
le sei suore in nero, coi copricapi a corno, dietro gli altri in attesa.
Teresa inizia a cantare accompagnandosi alla chitarra con
pennate della mano aperta, la voce melodiosa ed aspirata e la processione si
incammina verso la fontana.
Dolce
morir di questa lama
Fiamma
d’amor tra le tue labbra
Lingua
piantata alla mia fama
Che
in ghiaccio e furor aveva ombra.
Scioglie
il dolor il sangue in vento
Parole
a volar dai prati in fiore
Alle
stelle lassù con ali in canto
Lacrime
e risa, dei tuoi occhi il colore.
Mentre si lancia in un intermezzo di larallallà che ripetono
il motivo della strofa il corteo raggiunge la fontana e Caterina viene posata
sul piano disposto in precedenza.
Teresa continua:
Dolce
morir di questa lama
Dente
di serpe c’azzanna il cuore
Gelo
e calor della tua trama
Follia
a danzar sul fuoco d’amore.
Pazza
a mutar la carne in voce
La
vita in sogno, del ver l’ebbrezza
Cenere
muta a covar la brace
Solo
per me di una tua carezza.
Dolce
morir di questa lama
Che
all’eterno andar il soffio chiama.
La cadenza nostalgica della lagna ha fatto venire a tutti i
lucciconi agli occhi, sulle ultime parole i ballerini che la portavano hanno
sollevato la gonna alla Madonna scoprendole la figa, nel silenzio che segue
tutte le finestre del villaggio si aprono ed i minatori si affacciano ad
osservare allibiti, poi esplodono in una risata generale, si sentono ah ah ah
modulati dai bassi scorrere dai baritoni ai tenori e poi continuare nelle
risate di contralti e soprani che spruzzano argentine in tutte le direzioni. Le
suore si son sedute sulla base della fontana con i rosari in mano, Sherlock
vestito in frac nero con le code, il violino già sulla spalla è in piedi sopra
un rialzo, il nerone seduto al suo tronco tra lui e le suore, i ballerini han
fatto cerchio intorno.
Le suore, timidamente, iniziano a recitare il rosario in
latino, ave maria gratia plena dominus teco… Sofia con la mano le fa cenno di
rallentare un poco poi inizia a strusciare con le mani sulle pelli del tronco,
fa un colpo sopito a cui segue una carezza per passare ai battenti più alti ed
al fondo fa leggermente tintinnare i sonagli, torna indietro sopendo i suoni e
con gli occhi fa cenno alle suore di seguirlo, quindi riprende a salire
variando le battute delle rullate. Le suore hanno tonalità dal gracchiante roco
al femminile aperto, recitano di getto ancora bloccate dalla timidezza, si
intonano al ritmo dei tamburi prima sussurrando e poi salendo, i suoni si
fondono armonizzandosi tra loro in un frusciare di onde baciato dalle voci sul
tintinnare dei sonagli.
Tutti guardano Sherlock, il violino appoggiato alla spalla
che con l’archetto segue i movimenti del ritmo. Regola principale per la poesia
come per la musica quando si improvvisa è immedesimarsi nella parte. Con le
lunghe dita affusolate della sinistra inizia a pizzicare il cantino quindi si
ritrova in cima al ghiacciaio di un’alta montagna, il suo profilo spicca nella
notte stellata mentre aquile maestose gli volano intorno con lenti battiti
d’ala, il ghiaccio è duro, inizia in sordina con una scala in crescendo poi
continua con lunghi scivolamenti d’archetto stridendo suoni alti a caso su due corde, continua la
scala in discesa ed al fondo riprende a stridere doppio, questa volta basso, allunga
per tutta la misura dell’archetto, su e giù, passa agli alti sempre stridendo,
un lungo lamento…il ghiaccio si incrina ed inizia a sciogliersi, scivola
lentamente sui suoni del violino verso il basso, arrivati al fondo incontra la
roccia e inizia a gocciolare, l’archetto rimbalza sulle corde seguendone i
movimenti, le gocce aumentano, si forma un rivolo d’acqua che scende zigzagando
tra le rocce con acuti di violino, incontra altri rivoli e si ingrossa
gorgogliando, seguono scivolamenti lunghi sulle corde con le dita per
raccoglierli tutti mentre l’arco seghetta le corde screziandone i suoni ad ogni
svolta, il flusso arriva ad una parete a picco e precipita in una cascatella
gorgogliante che aumenta di velocità frantumandosi contro i rilievi e speroni
di roccia che incontra nella caduta, i suoni accelerano poi si bloccano ed
esplodono scivolando in acuti casuali per riprendersi precipitando, arrivati al
fondo spruzzano da tutte le parti, si forma un laghetto, il violino ne traccia
i contorni poi fa zampillare l’acqua che cade quindi continua a scendere verso
la valle, ora da tutte le parti arrivano rivoli gorgoglianti ingrossando il
tema centrale, il violino stride i suoni dall’alto al basso velocemente
facendoli scorrere nel mezzo sempre zigzagando sulle scale, il nerone ha
accelerato il ritmo, le suore ormai prese loro malgrado lo seguono, i loro
suoni escono inarticolati come sospiri
marcando lo scorrere del onda.
Sherlock è immerso nella parte, nessuno lo fermerebbe più,
il torrente scende impetuoso ingrossando ad ogni metro con lunghe scivolate del
violino terminanti con pizzicati e
rimbalzi dell’arco sulle corde, dopo una sinuosa discesa torna a precipitare
festante giù per un canalone, i suoni si spezzano gorgogliando, due soprani
nere di carbone affacciate ad un balcone sulla piazza ne seguono la caduta con
degli ah ah ah ed ih ih ih gorgheggianti e contrappuntati in sordina, altri due
tenori neri sul balcone a fianco, sempre in sordina per non coprire il violino,
mormorano dei mmm sospirati di sottofondo, arrivati al fondo del canalone il
torrente si scontra in una pietraia disperdendosi lungo la discesa in centinaia
di rivoli, il violino cerca di tenerli a bada tutti con veloci scivolate sulle
quattro corde sviando ogni volta tre o quattro note per corda aggiungendo
stridi da far accapponare la pelle dove l’acqua scorre più veloce, altre
soprane si aggiungono marcando gli ah ah ah ed ih ih ih in sordina, finita la
pietraia si riforma il torrente ancora ingrossato, il ritmo accelera, Sofia
rulla con le mani su e giù facendo continuamente risonare i sonagli, le suore
continuano il rosario pronunciando solo più le vocali prolungate sulle
consonanti ed allungate in vocalizzi a caso sul picco dell’onda, dalle finestre
del villaggio i bassi modulano lunghi oooh sospirati in sordina sopra cui scivolano
quelli dei baritoni e sopra ancora i mmm dei tenori e su tutto le risate dei
soprani, da ogni parte della montagna si vedono precipitare cascate argentate
dalla luce delle stelle, il torrente in fondo scende dritto verso valle seguito
dal violino, l’archetto passa da una corda all’altra di misura mentre le dita
scivolano sulle corde velocemente in lunghi guizzi vibrati, sui bassi e sugli
alti si lancia in frettolose ariette zigzaganti poi riprende a scivolare
alternando brevi stridi sgraziati e volutamente stonati per contenere il fiume
arrivato a valle, prosegue in una lunga corsa poi sullo scivolare melodico
argentato dalle risatine delle voci dei minatori decolla in direzione delle
stelle.
Il violino si è messo a parlare sull’onda del fiume che sale,
le sue dita sfiorano i tasti ogni volta pronunciando cascate di scintille che
precipitano seguendo a scia, arrivati sopra le nuvole, al soffio del vento
cantato dai minatori continua a salire girando sul mondo, arrivati alle luci di
Mosca si lancia in un forsennato Casaciò, in vista di Tokio varia il ritmo
all’orientale pizzicando le corde come su uno shemisien per volgerlo ad un
indiavolato boogie voogie passato l’oceano in vista di Seattle, continua così
fino a New York poi tornati in Europa si lancia in un furioso can can in vista
di Parigi, riprende con una tarantella sfrenata quando ormai della Terra si
vede solo un puntolino.
Le stelle si aprono sui ruggiti del violino ormai impazzito,
la Corale del villaggio esplode in un mare di luce, le onde delle stelle
fluiscono scontrandosi con i suoni, si sollevano in un apoteosi di spruzzi,
vocalizzi di soprani, trilli del violino, tintinnare di sonagli, solfeggi di
tenori in un crescendo esplosivo. Tutto tace di colpo. Con una cascata di suoni
zigzaganti dagli alti ai bassi il violino precipita atterrando nell’arena.
Tutta l’orchestra si è messa a suonare a ritmo sostenuto, le
onde si frangono sul tintinnare di piatti e sonagli, le chitarre soliste ed i
fiati si lanciano in eccitanti dialoghi in contrappunto formando cerchi
musicali dentro i quali onde sinuose entrano ed escono ogni volta spruzzando noterelle
a caso sui toni alti, il basso rimbomba nel gioco sfumando i picchi delle
percussioni, l’organista contiene tutte le sonorità vibrando con una mano sul
fa maggiore e con l’altra giocando sui tasti al movimento dell’onda, il violino
si intromette negli assoli zigzagando negli spazi che trova liberi. I ballerini
si sono disposti nel doppio cerchio girando al contrario, i maschi sollevano le
femmine portandole in avanti in contro passo, queste ogni volta strillano
agitando fazzoletti spumosi e tamburelli per aria tra strilli goduti, si vedono
le labbra della figa aprirsi sbrodolando sulle penetrazioni della musica.
Guappo e Bastarda in mezzo sono ai preliminari, lui in calza maglia nera con
ricami iridati che riflettono le luci aderente su tutto il corpo e lei con un
tutù bianco col gonnellino corto e vaporoso, lei ruota sulle punte agitando le
braccia ad ali e saltando come volesse
prendere il volo, lui le piroetta intorno afferrandola per la vita ogni
volta che si alza per deporla dolcemente a terra e poi l’abbraccia e ruotano
una nelle braccia dell’altro sempre in moto inverso sincronizzati coi giri del
balletto. Dalle finestre del villaggio si vedono accendersi girandole
pirotecniche che fanno piovere cascate scintillanti. Gennarino, accompagnando
con la chitarra, inizia a cantare col coro dell’orchestra:
Ehilà minchioni state a sentire questa
Coro (Testa lesta pesta festa )
che cazzo ci avete
in quella testa?
(Cazzo pazzo razzo lazzo)
olè, belle parole,
solo belle parole
(lole fole sole sole)
fuori dal culo
che c’è solo merda
(mirda morda murda marda)
cento miliardi uno più uno meno quanto fa?
punto a capo,
virgola, interrogativo ed
esclamativo, pausa di checcazzoneso,
abitudine tempo e fine trasmissione, arrangiamento in corso, cambiare gioco
(fuoco cazzo fuoco figa)
Una bella risata che bello palpar tette sui tetti tra le
antenne a far come i gatti
Ad annusar fighe dove ci
pare che tanto è oggi e domani chissenefrega.
(brutto grasso giuda frega)
Sulle parole Guappo e Bastarda iniziano le figure erotiche,
lei non riesce a trattenersi dal ridere e sembra restia, lui la prende di
forza, cadono a terra, rotolano abbracciati zampettando con le gambe per aria,
si strusciano i piedi mentre lui le bacia il collo e lei gli arruffa i capelli
con ampie volute delle braccia, si rialzano, girano con lei le gambe
avvinghiate ai suo fianchi ed il corpo abbandonato che fluttua…Gennarì continua
a cantare:
Fatta
la valigia prendo il treno (cazzo
figa) oppure l’aereo e se non va
faccio
un
salto ed arrivo lo stesso (figa
cazzo) l’importante è volare sui fiori
tra i rami
più
su tra le nuvole (cazzo figa) un giro intorno al sole un tuffo nel mare
anche
i
pesci ce l’hanno (figa cazzo) e poi sopra l’onda la spuma il sorriso, giocare
danzare
cantare (scopare scopare) da non poterne più e ancora a passeggio
sull’uva ubriaco di vita, (scopare scopare) giovinezza che bello, un fiume di vino
ballare
cantare (scopare scopare) una festa, musica, poesia, chi tiene il pennello
ci mette i colori (scopare
scopare) e la fantasia torna a volare (leccate pompini)
l’orgia e l’incendio (scopare scopare) serenata ai balconi delle stelle (cazzo
figa)
tirate
su sta cazzo di scala che voglio salire
sui raggi di luna un tappeto volante
tempesta
uragano a cavallo del fulmine una freccia nel culo del mondo (danzare cantare)
scopare
scopare
Dentro la figa danzante Bastarda sta cavalcando sul cazzo di
Guappo coricato a terra, al ritmo dell’onda si sollevano mentre lui le
accarezza il corpo e lei ondula il corpo e le braccia, accelerano, si rialzano
e si lanciano in una pecorina sfrenata, girano e lei smania col corpo mentre le
ballerine strillano più forte ormai lanciate per aria ad ogni passo in una figa
sempre più accaldata. Gennarì continua:
La
tavola è imbandita, facciamo festa, mangiare
(cagare
pettare ruttare ruttare)
Fuori
gli uccelli dalle gabbie, poesia
(cazzo
duro figa intriga)
Ballerini
e suonatori s’attaccano al coro
(scopare
scopare danzare cantare)
e
gli altri fan la fila fin dove arriva
(cantare
danzare scopare scopare)
Sull’ultima strofa della canzone Guappo e Bastarda si sono
lanciati in uno sfrenato corpo a corpo roteando e rimbalzando contro i
ballerini del cerchio, sono ambedue presi nella parte, danzandosi addosso si
artigliano gli abiti che in molti punti sono già strappati, infine si portano
al centro e sul silenzio della voce, in un estasi finale, la poesia feconda con
gran spruzzi dei ballerini che scompigliano il cerchio allontanandosi in tutte
le direzioni.
Il ritmo accelera, gli assoli riprendono a duellare sulle
onde, mentre nel cielo si vede esplodere qualche fuoco d’artificio le voci del
villaggio riprendono i cori della canzone, si sente scopare scopare ondulare di
volume dai bassi ai baritoni ai tenori poi continuato nelle vocali o a e
modulate a caso in contrappunto mentre i soprani le prolungano con le solite
risatine argentate aggiungendo vocalizzi acuti ed eccitati sullo spruzzare
delle onde. Bastarda è rimasta sola, davanti alla fontana figura la gestazione,
si scopre i seni, si scioglie i capelli che aveva legati a crocchia, se li
sparpaglia accarezzandoli sul corpo poi pigiando voluttuosa e girando sulle
punte inizia a gonfiare con ampi gesti delle braccia, si abbraccia e si riapre
ancora più larga, con le mani si prosegue nell’aria, si riabbraccia e si
riapre, quando è ormai dappertutto tornano i ballerini roteando a uova come se
uscissero dal suo gonnellino.
Il ritmo accelera, sulla melodia esperta del violino gli
assoli delle chitarre e dei fiati si sono abbandonati a contrappunti di
fantasia pennellando l’aria di spruzzi di tutti i colori sopra i quali scorrono
i vocalizzi del villaggio, un mare di musica che frange le sue onde alzandosi a
fontana sopra l’arena, dal cielo anche se invisibili si vedono numerose fate
arrivare volando sulle loro scope magiche, tutte vestite di veli trasparenti,
atterrano sui tetti per guardare lo spettacolo. Il mare curioso si è ingrossato
insinuando la sua lingua nel porto e poi su facendola scrosciare nella piazza,
la ritira e la rimanda ogni volta più grande, proprio come fa il cazzo quando
diventa duro. I ballerini si sono rialzati formando due cerchi separati, i
maschi in uno e le femmine nell’altro, ruotano sempre al contrario toccandosi
come ruote dentate in un orologio. Le due contadinelle sono uscite allo
scoperto, han buttato le scarpe e scalze, tenendo la gonna sollevata, si son messe
a ballare da sole la tarantella davanti ai cerchi. Guappo è in mezzo alle
femmine e Bastarda ai maschi, ambedue iniziano a prendere un ballerino nel loro
gruppo ed al ritmo sfrenato dell’orchestra si lanciano in figure erotiche, poi
li lasciano e ne prendono altri variando le figure mentre quelli lasciati
escono dal cerchio e ballando tra loro continuando il tema di scopare scopare
rimbombato dalle voci del villaggio si dispongono in un ovale come un cazzo che
si allunga da due balle spingendo in avanti le due contadinelle come uno
spruzzo. Quando i due cerchi si sono esauriti Guappo e Bastarda si ritrovano e
corrono ad abbracciarsi.
Il ritmo accelera, le percussioni hanno il ritmo di un cuore
indistruttibile che batte all’impazzata, tre tu tu tum velocissimo in avanti
con quarto scandito da gran fragore di piatti e sonagli e tre indietro al
silenzio, a turno si lanciano in rullate frenetiche ed interminabili rimbombate
sulle scale dal basso che le segue a volo coprendo i vuoti, gli accompagnamenti
e l’organo iniziano la successione di semitoni questa volta suonandone quattro
veloci ogni volta poi tornano indietro di tre e ne fanno altri quattro ogni
volta salendo di uno e accelerando con le percussioni, gli assoli sono al
trillo del diavolo, ognuno è il suo strumento e come impazzito suona per sé,
suoni screziati dai distorsori, melodie che si perdono sfumando in lunghe fughe
all’impossibile, lunghe cavalcate su una nota sola fatta risonare ogni volta
diversa, i fiati ululano giocando sulle scale tra gli squilli della tromba alla
carica, Guappo e Bastarda sono entrati tra i ballerini ed adesso tutte le
coppie ballano facendo a gara a chi è più bravo allacciandosi in figure
erotiche ogni volta diverse, tutte le case del villaggio sono coperte da
cascate pirotecniche, nel cielo i fuochi artificiali esplodono fondendosi con
il ritmo della musica in accelerazione, le voci di bassi e baritoni nei
vocalizzi ondulati di scopare scopare, altri vocalizzi più acuti di tenori e
risate di soprani mentre i più bravi si lanciano in improvvisazioni melodiche
duellando con gli assoli dell’orchestra. La lingua dal mare si è ingrossata,
sulla cresta dell’onda che entra nella piazza ci sono tritoni e sirene con il
corpo squamato e la coda di pesce che danzano, ad ogni ondata ne arrivano di
nuovi, i tritoni hanno torce che agitano nella mano e come i mangia fuoco
sputano dalla bocca lunghe fiammate, le sirene cantano con gli ultrasuoni, il
suono non si sente ma si vedono lunghe linee luminose intrecciarsi nell’aria
con le fiammate dei tritoni. Le fate volano sulla fontana di musica e colori
che si alza dalla piazza cantando con la voce della natura, uragani, tempeste,
eruzioni di vulcano, stelle che esplodono. Le suore sedute alla base della
fontana battono le mani a ritmo, due di loro si sono alzate e tenendo la
sottana della tonaca sollevata si sono
messe a ballare in mutandoni. Sulla fontana la bella addormentata con la
figa aperta che guarda, davanti a tutti le due contadinelle che ballano
sfrenate.
Salto di ottava, la musica e la corale incendiano il
villaggio, un lungo getto di fuoco si alza a fontana, i ballerini han sciolto
le coppie ed ora ognuno si unisce con chi gli pare ballando scatenati, molti
sono allacciati a terra, si vedono piume volare da tutte le parti. L’onda del
mare è aumentata e sulla cresta tritoni e sirene prolungano le loro voci
intrecciando fiamme e linee di ultrasuoni luminosi che danzano sopra la fontana
creando un groviglio nebuloso intorno al
quale ruotano cantando turbinose le fate, due di loro scendono nell’arena e
prendono le due contadinelle portandole a danzare sopra la fontana, a cavallo
di un lampo accecante che saetta giù tra i fuochi artificiali che esplodono in
cielo si vede arrivare Amore, nudo, ricciolino e più bello che mai con un gran cazzo
duro e l’arco in mano, atterra sulla fontana tra le due contadinelle che subito
iniziano a danzargli intorno festanti, ballando anche lui si mette a tirare
frecce verso il cielo facendole esplodere in figure fantastiche di amplessi
amorosi che si sciolgono piovendo a terra in cascate pirotecniche poi prende
l’ultima, bacia la punta e senza mirare la tira dritta nella figa della Bella
Addormentata.
I ballerini sono tutti sdraiati a terra allacciati tra loro
coi vestiti laceri che si agitano allo stremo, i suonatori arrossati e sudati
continuano a suonare ormai senza più ordine ne ritmo, le voci del villaggio
lanciano un ultimo possente grido tutti insieme e subito dopo nella piazza
fanno irruzione camionette dell’esercito con le sirene spiegate e altri a piedi
con la divisa da marines americani arrivano dal porto, qualcuno spara raffiche di
mitra per aria, altri entrano nel balletto interrompendo le musiche.
Nel silenzio che si crea si sente prima una voce imperiosa
amplificata da un megafono gridare: “Che cosa sta succedendo qui?” e subito
dopo la voce di Caterina, con la schiena sollevata, rispondere: “Qualcuno mi
aiuti, mi sono cagata addosso.”
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